“Non è una zitella sognatrice in cerca di un modo per impiegare il suo tempo, ma una donna coraggiosa, dotata di acume e talento che ha deciso di raccontare la società in cui viveva e di far sentire la sua voce nella maniera a lei più congeniale, usando la sua penna sferzante. Una voce che non ha smesso di risuonare e che ancora oggi conserva il suo fascino”.
Con queste parole ho deciso, qualche anno, fa di ricordare Jane Austen in occasione del suo compleanno e sono ancora più convinta di quanto ho affermato dopo aver letto quest’interessantissima biografia di Lucy Worsely, che si sviluppa a partire da uno straordinario tour nelle case in cui la scrittrice di Steventon ha abitato. Un viaggio emozionante, ricco di dettagli non solo sulle dimore in questione, ma anche sulla Austen stessa ritratta a tutto tondo come scrittrice, donna, figlia, sorella, zia .
Nel testo vengono descritte le abitazioni, ma anche scandagliati i rapporti intrattenuti con la sua casa metaforica, la sua famiglia e forniti dettagli sul contesto sociale e storico in cui la “zia Jane” si è formata come persona e come romanziera.
È un testo completo, dunque, che potrà soddisfare innumerevoli curiosità grazia alla sua dovizia di particolari ma ha una narrazione dal tocco profondamente umano come dimostrano alcune vivide, semplici ed emozionanti “fotografie” dell’autrice.
“Intelligente, gentile, spiritosa, ma anche insofferente nei confronti delle restrizioni che la società le impone e sempre in cerca di nuovi modi per essere libera e creativa”.
Penso che non ci sia descrizione più calzante per questa signora della letteratura. La sua delicatezza e la sua vivacità emergono anche in quest’altra breve incursione nel suo privato che proviene dalla voce diretta, per così dire, dalle nipote Marianne e che aiuta anche a far luce sul modo in cui i suoi capolavori sono nati:
“Lavorava [cuciva ] davanti al fuoco in biblioteca, restando in silenzio a lungo, poi scoppiava a ridere di colpo, balzava in piedi e si precipitava e si precipitava all’altro capo della stanza, a un tavolo sul quale erano posati carta e penne, scriveva qualcosa e tornava davanti al fuoco,dove riprendeva a cucire”.
Uno dei momenti più intensi e anche commovente del libro però, a mio pare è rappresentato dalle seguenti righe:
“Prendeva i rimpianti e l’amarezza e li trasformava in ironia e arte. Usava queste armi efficaci per far saltare la serratura che teneva le figlie prigioniere nelle case dei familiare. Avrebbe imparato a mostrare quanto sgradevole e ingiusta poteva essere questa situazione”.
In questo passo sono riassunte la tenacia e la capacità di non rassegnarsi di una ragazza che era pur sempre prigioniera delle convenzioni e che cercava di trovare la propria autonomia oltre che il modo in cui lei ha utilizzato le armi dell’intelligenza e della parola non solo per alimentare un processo creativo fine a se stesso ma per dar vita a qualcosa che, seppure in modo apparentemente leggero, portasse alla luce alcune problematiche, vissute da lei in prima persona.
In effetti, ad esempio, il tema della “sistemazione” della donna, del riuscire a trovare una casa confortevole attraverso il matrimonio, presente nei romanzi della Austen non è un problema secondario (lei e sua sorella, dopo la morte del padre, non essendo sposate, lo hanno dovuto affrontare) e la foga di Mrs. Bennet nel trovare un marito alle sue figlie perché nessuna di esse erediterà Longbourn è una dimostrazione lampante di quanto fosse preoccupante il non avere la stabilità conferita dal possesso di un proprio “nido” domestico.
Jane stessa ha volutamente rinunciato a questa stabilità per mantenere la sua indipendenza, per non accontentarsi, per rimanere libera, pagando ovviamente, però, il prezzo delle sue scelte.
Questo libro è,a mio parere, un grande modo per renderle omaggio, per mostrarne la grandezza e lo spessore, ma anche per informarsi in modo approfondito e non approssimativo.
Da Janeite incallita, dunque, non posso che consigliare di visionarlo e caldeggiarne la lettura.
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