Sono passati molti mesi, a dire la verità, da quando ho ricevuto “Blue Room Hotel”. Gli impegni scolastici mi hanno tenuta un po’ lontana dal blog e l’avvento della pandemia purtroppo ha reso la lettura e la scrittura alquanto complicati, anche perché le incombenze lavorative si sono moltiplicate. In ogni caso sono molto felice di parlarvi del romanzo Roberto Monti, un romanzo particolarissimo, in cui viene descritto un mondo inquietante e corrotto. Nella città immaginaria e cupa di Tap Town, è stato emesso il divieto di scrivere “su carta”. Molti scrittori, proprio per la mancata osservanza di questo veto, vengono assassinati (la scia di delitti conduce al tetro Blue Room Hotel che dà il titolo al nostro romanzo) e chi vuole continuare con la sua attività deve farlo nell’ombra, rischiando, appunto, la vita.
Monti ha confezionato un’opera interessante da diversi punti di vista. L’autore riesce a far calare perfettamente il lettore nell’atmosfera claustrofobica e torbida di Tap Town. La tematica centrale, ossia la contrapposizione tra libri cartacei e digitali, è affrontata in modo inusuale, se vogliamo, estremo, proprio grazie alla scelta di un genere come il thriller. La tensione è palpabile sin dalle prime righe e mantenuta per tutto il racconto. Il protagonista, Adam è un eroe assolutamente singolare, ambiguo e misterioso al punto giusto e di sicuro intrigante. I colpi di scena, poi, tengono viva la narrazione fino alla conclusione, che non mancherà di destare stupore.
Dopo la lettura scaturiscono inevitabili della domande e alcune riflessioni: è davvero così pericoloso e controproducente seguire la tradizione e non arrendersi agli ebook, è davvero così necessario “soccombere” alla tecnologia?
In realtà io credo che ci possa tranquillamente essere una convivenza pacifica tra queste modalità di fruizione dei libri, fermo restando che il cartaceo ha un fascino maggiore del digitale. Un’opera che resta lì, nel tempo, che occupa uno spazio fisico, che è consultabile concretamente, ha di certo un valore enorme, ma non va demonizzato il digitale, più immediato e “comodo” da un certo punto di vista. Ce n’è per tutti i gusti, in definitiva, l’importante è non perdere di vista il contenuto, l’eredità intellettuale di un’opera, di qualunque tipo essa sia.
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