Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

Mese: agosto 2019

Una deliziosa serie televisiva: Erkenci kuş.

Chi mi conosce sa che per natura sono molto curiosa, mi piace andare a scovare cose nuove e quando mi entusiasmano, come in questo caso, non riesco a fare ameno di parlarne, anche se non si tratta di libri.

Ultimamente ho scoperto, dopo aver visto Bitter Sweet su Canale 5, un’altra adorabile serie televisiva turca che si intitola “Erkenci kuş”, al momento, purtroppo, disponibile solo su Youtube.

I protagonisti della storia sono Can, fotografo di fama internazionale e spirito libero, che torna ad Istanbul per lavorare nell’agenzia pubblicitaria del padre e Sanem, aspirante scrittrice, che sogna di andare a vivere alle Galapagos e inizia a lavorare nella stessa agenzia.

Dopo un primo fortuito e “rocambolesco” incontro (resto vaga per non rivelare troppo), i due si rincorreranno e dovranno superare non pochi ostacoli per vivere il loro amore. Intrighi, bugie e circostanze avverse, come nelle migliori favole, si frapporranno tra i nostri eroi e il tanto agognato lieto fine. Non vado oltre con le informazioni sulla trama della fiction, ma lo spettatore di sicuro non rimarrà deluso, anzi, resterà incollato allo schermo per capire come si evolveranno le avventure dei due ragazzi, delle loro famiglie, dei loro amici e nemici. Il racconto parallelo del microcosmo costituito dal vivacissimo e coloratissimo quartiere in cui la ragazza è cresciuta e vive, rende ancora più frizzante e dinamica la “narrazione”.

Davvero degne di nota sono le interpretazioni degli attori principali, Can Yaman e Demet Özdemir: lui è perfetto nel dare corpo, anima e voce ad un ragazzo apparentemente “duro”, ma dal cuore tenero e soprattutto riesce nell’intento di allontanarsi totalmente dall’altro personaggio che lo ha reso famoso in Italia (Ferit Aslan in “Bitter Sweet”), mentre lei incarna perfettamente la freschezza, la dolcezza e la semplicità che il ruolo di Sanem richiede.

Sia nei momenti più leggeri, a volte ci sono momenti estremamente cominci, che in quelli più drammatici (confesso di essermi commossa più volte), gli attori non perdono credibilità ed intensità nella recitazione. Fantastici sono anche gli interpreti dell’amabile Nihat, dell’esuberante Mevkibe, del simpaticissimo signor Aziz e della terribile Huma, i genitori dei nostri “promessi sposi”.

All’elenco delle cose che ho delle cose che ho adorato di “Erkenci kuş” devo aggiungere il ruolo che i libri hanno nella storia e non solo perché le vicissitudini di can e Sanem diventano un romanzo, ma anche perché vengono citati alcuni grandi scrittori (Pamuk, Emily Brontë, Kafka, Vonnegut, per citarne alcuni) e i loro testi diventano la voce dei sentimenti dei due giovani. Per una bibliofila come me questo non è un elemento trascurabile, anche in un programma di intrattenimento.

Chi ama il romanticismo puro, chi desidera passare delle ore in leggerezza, sognando ed evadendo un po’ dalla quotidianità, chi vuole a aprire una piccola finestra su un’altra cultura ed un’altra lingua (estremamente affascinante, a mio avviso), amerà questa serie quanto me e resterà in attesa che la trasmettano sui nostri schermi.

“La straniera” di Claudia Durastanti (La nave di Teseo, 2019)

Appena ho cominciato a leggere “La straniera” ho capito di avere tra le mani un libro importante e prezioso, anche se in realtà ero già rimasta folgorata da questa frase breve e potentissima: “Quando tutto cade, indomito l’amore resta”.

Confesso di aver provato quasi un senso di soggezione accostandomi al testo e non solo perché quando uno scrittore decide di consegnarti la sua storia personale, soprattutto una storia così complessa, bisogna maneggiare quanto esso scrive con delicatezza e attenzione, ma soprattutto perché si percepiscono immediatamente una grande abilità narrativa e una notevole cura nella scelta delle parole oltre che nell’organizzazione del testo.

Non è un caso infatti che all’inizio venga citata Emily Dickinson che dice: “Dopo un grande dolore arriva un sentimento formale”. L’armonia e l’eleganza che l’autrice riesce ad imprimere alla sua scrittura fanno probabilmente da contraltare all’emotività che una comporta un racconto così intimo. Claudia Durastanti si esprime con forza, padronanza e consapevolezza e riesce bene a miscelare gli ingredienti che compongono la sua opera, direi a dosarli nelle giuste quantità.

Ci sono le vicende dei suoi genitori, entrambi sordi, che si amano, ma non riescono a vivere insieme e si separano, ci sono gli spostamenti in luoghi diversi, con tutto ciò che i trasferimenti e i cambiamenti comportano. Si passa dall’America, alla Basilicata con i suoi paesini, i suoi calanchi e le sue singolari caratteristiche, fino ad arrivare alla città della maturità, Londra.

 

“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”

 

In effetti ci sono i luoghi fisici, ma c’è anche Claudia in viaggio per il mondo e verso se stessa, che cerca di costruire il proprio essere, che mostra il suo retaggio culturale, quello ereditato e quello acquisito, cosa che le serve anche per filtrare le sue esperienze.

È proprio grazie a questo filtro che l’autrice riesce a smarcarsi dalla mera individualità, inducendo a fare riflessioni di carattere più generale.

Si ragiona di lingua, di linguaggio e comunicazione ed è affascinante l’incursione nel territorio della traduzione e ed è notevole la “meditazione” sul concetto di straniero in senso più ampio e sul tema dell’emigrazione che oggi assume connotati nuovi.

Desiderio di evolversi, di imparare, di superare le proprie fragilità e paure sono altre componenti di questo romanzo che mi hanno impressionata

Sono sinceramente dispiaciuta per non aver potuto parteciparla almeno ad una delle presentazioni cha la Durastanti ha tenuto proprio qui nella nostra terra, sono sicura che avrei colto altri elementi su cui interrogarmi e per approfondire la conoscenza delle sue opere.

Voglio concludere questa recensione proprio con passo che parla della Lucania.

 

“Quando il sole tramonta in Basilicata il cielo diventa un polmone che espettora sangue, la sua luce fa tossire più che commuovere. Ma prima di arrivare ai calanchi, agli alberghi in mattoni rossi abbandonati vicino alle stazioni di benzina dai nomi altisonanti e alle piscine infestate, bisogna passare accanto alle torri del petrolio che brillano nella notte con i loro laser verdi e rossi che fanno pensare a un futuro preistorico  ̶  tutto ciò che è nuovo si ossifica presto da queste parti, diventa una sostanza minerale che riflette una luce morta e bellissima  ̶  e poi bisogna passare a una diga naturale, una distesa di acqua verde tra i boschi su cui raramente splende il sole e da cui salgono fumi biancastri al mattino. Ed è solo dopo essersi inoltrati tra le curve che seguono le curve, che a un certo punto il paesaggio si apre e diventa quasi deserto, e l’ambra bruciata del sole si trasforma in una sostanza molto più rarefatta e ipnotica”.

“Addio fantasmi” di Nadia Terranova (Einaudi, 2018)

Vorrei cominciare questa recensione con un preambolo: ci sono libri che vanno letti, lasciandosi andare alle emozioni, senza che la testa cerchi di analizzarli troppo. Forse è questo il motivo per il quale ho impiegato così tanto tempo per scrivere qualcosa su “Addio fantasmi”, un romanzo dalla prosa raffinatissima che ha un’alta carica emozionale, tutti fattori che probabilmente dovevano essere “assimilati” per essere poi discussi in un articolo.

Nella storia di Ida, che torna in Sicilia per aiutare la madre con i lavori di ristrutturazione della loro casa, non vi è nulla di scontato o sdolcinato perché la donna ci “sbatte in faccia” il dolore per la scomparsa del padre in tutta la sua forza travolgente, non a parole, ma attraverso silenzi, “fughe”, armandosi di una corazza durissima che si è costruita crescendo e un carattere spigoloso, difficile.

L’interiorità della protagonista, un complesso intreccio fatto di “non detti”, di mancate risposte, di sentimenti repressi, ci viene “offerta” in modo diretto, senza edulcorazioni, eppure con mirabile equilibrio.

Nadia Terranova è abilissima nel tratteggiare una figlia che ha vissuto da ragazzina qualcosa che era più grande di lei, nel descrivere una casa realmente e simbolicamente piena di problematiche, di crepe e quindi una famiglia che da porto sicuro diventa ambiente di disagio, di insicurezza.

L’abitazione, dunque, diventa una delle metafore fondanti del libro. Come ha fatto giustamente notare la scrittrice Claudia Durastanti in un suo bellissimo articolo, in “Addio fantasmi” “l’anima si disfa come si disfa una casa”.

L’autrice è in grado, poi, di rendere concreto il “fantasma” di Sebastiano Laquidara, evoca la sua assenza, facendone una presenza quanto mai viva. Il tempo non affievolisce i ricordi, anzi la loro intensità e la loro nitidezza vengono amplificate non solo dall’incertezza sulle sue sorti, ma proprio dall’effetto dirompente che la scomparsa ha avuto sulla psiche della giovanissima Ida.

Oggetti, sogni, stanze, tutto concorre a scavare in una ferita ancora sanguinante. Tangibile ed evanescente, reale e inconscio si fondono e confondono nella narrazione avvicinandoci ai pensieri della protagonista e dando loro corpo e spessore.

Ho parlato di elementi simbolici e uno dei rappresentativi è sicuramente il mare. Da sempre è utilizzato per raffigurare la vita sia nella bonaccia che nella tempesta, l’animo umano e la sua profondità, ma in “Addio fantasmi” assume altre valenze. Anch’esso, infatti, è spazio della memoria e in seguito elemento foriero di catarsi e liberazione.

Più metto per iscritto le mie considerazioni, più mi rendo conto di quanto debba essere stato difficile scrivere quest’opera, parlare di sofferenza con coraggio e verità, in modo franco, asciutto, senza scadere nel sentimentalismo. Penso a quanto debba essere stato complicato non banalizzare un tema tanto importante, dargli sfaccettature inedite. La Terranova riesce in questo intento, non solo grazie al fatto che Sebastiano è andato via e non si sa se sia morto, se si sia rifatto una vita, ma proprio grazie ad una scrittura molto intima e una prospettiva “soggettiva”.

Questa sorta di confessione in prima persona è tanto dura quanto toccante ed è ideale per chi ama libri forti, dal sapore decisamente intenso.

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