Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

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Tra musica e parole: cronistoria di un colpo di fulmine musicale e letterario.

“Ci sono giorni in cui le incertezze le sento sotto pelle. Ci sono giorni in cui mi sento schiacciato dalle insicurezze di questo maledetto periodo. A volte mi sento l’unico, ma so che non è così. Chissà come sarà il futuro, chissà come saremo diventati quando questa pandemia sarà andata via. Chissà…

Io aspetto e intanto scrivo. Parole, musica, paura, piccole felicità. Scrivo di me, scrivo di noi…”

Questo post di Ermal Meta, insieme ad un tweet in cui si chiedeva quale sua frase ritenessimo più poetica, ha “causato” la nascita del mio articolo. I termini “scrivo” e “parole” messi vicini mi hanno non solo fatto pensare al fatto che attendo con impazienza il suo libro veda la luce (ho da sempre pensato che le canzoni fossero troppo brevi per contenere tutto il mondo espressivo del cantautore e che la sua abilità narrativa vada al di là dei pochi minuti di un pezzo musicale), ma anche al passato e al fatto che, proprio lo straordinario modo di comporre versi e di creare immagini, mi abbia fatto “innamorare” dell’arte di Ermal. In effetti prima di rimanere incantata da Vietato morire e dalla magistrale interpretazione di Amara terra mia, che mi ha commossa profondamente, ero rimasta folgorata da un verso di “Odio le favole”: “il futuro era bellissimo per noi”. Un verbo al passato accostato, per mezzo di un geniale ossimoro, al sostantivo “futuro”; due parole, una perfetta sintesi che esprime speranza, ma anche rimpianto per qualcosa di incompiuto, che mi provoca un’emozione intensissima ad ogni ascolto. Adoro di questo pezzo anche l’ispirazione a Karen Blixen nella frase, di sudore di lacrime o mare, ci sembrava la cura di tutto il sale. Di grande impatto è poi l’immagine di quella sposa “dietro al suo velo”, di un viso che si nasconde in attesa della promessa di un avvenire felice. Il verso “cuore che si stringe non tradisce mai” è semplicemente da pelle d’oca per la sua intensità e la sua verità.

Ancor prima però di “Odio le favole”, però, ricordo che spesso, casualmente (ancora non seguivo Ermal assiduamente), su Radio Italia ascoltavo “Gravita con me”, che ad un certo punto recita: “Il tuo viso è di un bello isterico”. Anche qui due parole, per raccontare il raggiungimento di una singolare armonia, per rappresentare qualcosa di spigoloso che al tempo stesso risulta attraente: una descrizione limpida, netta ed efficacissima. Che dire poi di “c’è un vento gelido, atletico”! Un elemento immateriale rappresentato col gesto preciso e scattante di uno sportivo, estremamente concreto. Ogni volta che il pezzo passava, pensavo che chi lo avesse scritto fosse davvero, davvero bravo. E non avevo ancora ascoltato praticamente nulla.

Arriviamo al 2017. Guardo come tutti gli anni Sanremo e ad occhi chiusi ascolto “Vietato morire”. Ermal canta questo verso: “E la paura frantumava i pensieri che alle ossa ci pensavano gli altri”.

In quel momento, con orecchie ed anima in ascolto, ho sentito un pugno nello stomaco, un intenso coinvolgimento emotivo che poi mi avrebbe portata a seguirlo. Quelli che ho citato sono versi crudi, che diventano quasi onomatopea o metonimia e fanno sì che chi ascolta si immedesimi nella storia che la canzone racconta, visualizzandola e sentendola. La durezza poi si addolcisce col ritornello, che è apertura alla speranza e al coraggio di cambiare le cose. Non si poteva non amare profondamente questa canzone.

In “Bionda” il cantante dice: le mie mani e le tue mani sono leggerezza”: l’uso del sostantivo al posto dell’aggettivo cambia completamente il verso rendendolo efficace.

Un altro verso per me è particolarmente poetico, poi, ed è contenuto nel brano “Voodoo love”. Ermal scrive: “Ma tu c’eri sempre, seppellita nel mio domani come fossi un seme”. L’immagine del seme che piano piano dà vita a qualcosa, che si cela nel terreno per poi crescere con vigore, l’idea di trovare nell’avvenire ciò che in passato si cercava e che si è svelato però con lentezza è semplicemente un’immagine originalissima e anche intensissima dell’amore. Anche qui inoltra, c’è una sorta di citazione letteraria. Non si può no pensare a Shakespeare e a “Sogno di una notte di mezza estate, ascoltando “ ma l’amore non usa gli occhi”.

“Schegge” è una delle canzoni più introspettive di Ermal, nata dopo un incubo e dedicata alla musica. All’ascolto mi ha colpito molto la scelta di descrivere i pensieri come uno stagno. Anche in questo caso l’immagine lascia spiazzati perché uno stagno è uno spazio piccolo, quasi angusto, mentre i pensieri dovrebbero essere in un luogo ampio, che lascia libertà. A volte però in effetti i pensieri possono essere imprigionati e in attesa che qualcosa li lasci andare via, in questo caso la musica. Arrivare al concetto in modo non scontato è proprio quello che rende tanto pregevole il testo di questo brano (in genera dei brani di Ermal).

“Se ci fosse anche per una carezza per ogni mio errore”. Chi non ha sensi di colpa, chi non ha bisogno di perdonarsi e di essere perdonato, chi non ha bisogno di un gesto di tenerezza. Non può lasciare indifferenti, dunque,  una frase come quella presente in “Quello che ci resta”. “Il destino universale” è secondo me una piccola raccolta di racconti, con vari personaggi e vari punti di vista (come ho già detto nella mia recensione di “Tribù urbana”). Nel cuore mi è rimasta Marta, delicato e forte fiore tra le pietre, personaggio delineato in pochissime, struggenti e vivide battute. Potremmo anche dire che Ermal utilizzi il flusso di coscienza come tecnica narrativa, come in “Stelle cadenti” o anche in “Bob Marley”, ad esempio.

Potrei continuare ancora, ma termino con la canzone di Emal che amo di più e ha un titolo con un riferimento linguistico, si può dire: “Voce del verbo”. Dall’infinito di un verbo possono prendere simbolicamente vita i nostri pensieri e le nostre azioni, dall’abisso di un qualsiasi dolore si può arrivare a guardare le cose col giusto distacco e ritrovare la speranza.

“Camminare senza fretta, fare soltanto quello che spaventa, lasciarsi vivere perché è bellezza”.

Questa strofa del brano dimostra che le parole hanno un potere infinito, se utilizzata bene. Possono far male, possono dare coraggio, possono toccare l’intimo di ognuno di noi, possono mostrare angolature inedite del mondo ed Ermal è capace di questo con la sua scrittura, non solo nelle canzoni, ma anche nei due racconti che ha condiviso col pubblico e che ho adorato.

Non so in realtà, perché, ancora una volta abbia sentito l’esigenza di esternare i miei pensieri visto che ho sempre abbondantemente commentato ciò che Ermal scrive. Forse l’ho fatto perché dopo il post ho ritenuto che il fatto di sapere quanto il proprio talento sia apprezzato potesse essere confortante (lo so è un po’ troppo ambizioso come obiettivo), forse perché vivo di sensazioni, di idee e a volte sento la necessità di non tenere tutto dentro. Non so essere precisa, però spero che questo mio breve scritto possa piacere e possa essere piacevole da leggere e magari essere ben accolto da chi come me, ammira l’abilità letteraria del cantautore.

 

“La casa di Leyla” di Livaneli (Casa Editrice Altano, 2021)

Ormai penso che siate abituati alle mie lunghe assenze. Mi dispiace non scrivere di più e più spesso e soprattutto di non mantenere tutti i miei impegni in modo tempestivo. Bando alle ciance e alle scuse comunque, torno per parlarvi di un libro pubblicato dalla casa editrice Altano, “La casa di Leyla”, il secondo dei due testi che la redazione ha gentilmente deciso di inviarmi.

Scritto da una delle voci più influenti ed eclettiche voci della letteratura turca (Livanieli è anche musicista) il libro narra la storia di Leyla, anziana signora discendente da un’antica famiglia ottomana che viene costretta a lasciare il suo yali. Per giorni la donna resta fuori dallo yali in segno di protesta, ma alla fine viene convinta, dal giovane giornalista Yusuf, che l’aveva conosciuta quando era un bambino, ad andare a casa sua in attesa di trovare un posto in cui stabilirsi. Yusuf ha una compagna, Rukiye, una cantante rap ribelle che si fa chiamare Roxy, dal carattere complicato e spigoloso e con una storia estremamente complessa alle spalle.

Il costante intreccio tra le vicende private dei protagonisti e la storia della Turchia è uno degli elementi chiave della narrazione, quello che emerge immediatamente dalla lettura. L’equilibrio perfetto tra la narrazione fittizia e il dipanarsi delle vicende di questo affascinante Stato sicuramente è la dimostrazione della maestria dell’autore. Leyla simboleggia sicuramente il passaggio dall’antico al moderno, la sensazione di spaesamento che da questo può derivare, la difficoltà che si può averne nell’accettare i cambiamenti storici ed individuali e quest’opera è perfetta per assaporare profumi, le tradizioni e la cultura turca. Rappresenta pienamente quell’aura struggente, intensa e melanconica che da sempre accompagna questo affascinante Paese. Hüzun è la parola che viene in mente scorrendo soprattutto alcune pagine, pagine piene di descrizioni suggestive e di affascinanti ricostruzioni storiche. Non è però solo questo che colpisce del testo di Livanieli. Ognuno dei personaggi viene esplorato in tutte le sue peculiarità e contraddizioni. In particolare vorrei soffermarmi sulle due donne che sono il centro nevralgico della storia, a mio parere.

Leyla ha l’anima di un’artista, ha la capacità di rendere poetico il mondo con la sua grazia, col suo silenzio carico senso, con le sue parole ricche di grazia, col tocco delle sue dita sul pianoforte che riesce a rompere qualsiasi barriera. Molto interessante è l’evoluzione di Roxy che apre una finestra sulla tematica dell’immigrazione, anche di ritorno e sostiene una tanto dura quanto commovente lotta contro se stessa. La sua ricerca di un luogo “spirituale”, per così dire, in cui sentirsi pienamente compiuta, in cui non sentirsi sbagliata e trovare pace è avvincente ed estremamente vera. È il contrario del suo fidanzato, così idealista, puro ed accogliente, ma dietro la sua corazza si nasconde molto di più di ciò che mostra. La sua metamorfosi, la sua evoluzione è interessantissima.

Il viaggio che questo romanzo ci fa fare sul Bosforo, ma anche nei meandri della natura umana ha un valore inestimabile e consiglio di intraprenderlo a chiunque ami la profondità, andare metaforicamente altrove, in mondi e per strade lontane e tortuose, in cui il cammino è ricco di scoperte.

“365 giorni con te” di Anna Bells Campani e Raffaella DI Girolamo (Sperling & Kupfer, 2021)

Ogni viaggio ha un inizio e una fine ed è finito, almeno su carta (il cuore dei lettori non ha tempo però) anche il percorso della trilogia scritta da Anna e Raffaella, ispirata alla dizi Erkenci kus/ Daydreamer.

Finalmente l’indomito fotografo Can Divit e la dolce scrittrice Sanem Aydin hanno coronato il loro sogno d’amore e sono partiti per la luna di miele in barca. Mentre salpano verso un futuro finalmente felice e gettano le basi per la loro vita coniugale visitando splendidi angoli di mondo che diventeranno tappe simboliche per il loro cammino insieme, rivivono il passato, questa volta con lo sguardo privo di sofferenza. Ciò non vuol dire, però, che il racconto sia meno intenso o toccante. Come sempre la profondità, la capacità delle due autrici di trasmettere efficacemente e con un trasporto eccezionale la vera essenza dei personaggi, la loro perizia nel creare pathos, nel curare ogni singolo dettaglio e nel tessere le fila della narrazione, portano il lettore ad immergersi completamente nella lettura, anche emotivamente. La storia della dizi è di una bellezza pura, di una pulizia e di una dolcezza sconfinata e i romanzi, quest’ultimo capitolo soprattutto, riescono a trasporre in tutto e per tutto questa delicatezza.

Chi non consce le vicende di Can e Sanem, può tuffarsi per la prima volta in una stupenda love story infinitamente romantica e restare incantato dalla descrizione dei luoghi i due sposini si recano, ma soprattutto dalla descrizione dei loro sentimenti, dai loro pensieri così profondi e ricchi di sentimento.

Per chi ha visto la serie è piacevole “scoprire” quello che ancora non era mostrato e al tempo stesso ripercorre a ritroso i momenti che hanno contraddistinto nel bene e nel male. Sarà come riguardare un film emozionate come pochi, che non ci si stanca di riguardare e di cui si notano ogni volta sfumature e dettagli diversi.

La trilogia e in particolare questo ultimo volume, sono come un luogo incantevole in cui rifugiarsi quando si ha voglia di tenerezza e di positività, di dimenticare l’amarezza per un po’ di tempo e tornare al bello.

Gli scrittori si sa sanno usare le parole e con esse giocano, costruiscono, inventano, non tutti però riescono ad usarle per emozionare, per far bene all’anima. Anna e Raffaella invece colpiscono nel segno. Trasportano il lettore in un mondo da favola, fanno commuovere, fanno sorridere, fanno sperare che in mezzo al cinismo, all’aridità di sentimenti di questo periodo ci sia ancor un barlume di speranza.

E allora auguri ad Anna e Raffa, altre 1000 di queste pagine (so che stanno lavorando ad un nuovo progetto e non vedo l’ora di leggerlo) e 1000 ancora di omenti indimenticabili da regalare al loro pubblico. Il prossimo appuntamento, comunque sarà quello con il libro di Anna, “Come corde di chitarra”,  uscito l’8 febbraio, quindi, come si suol dire: stay tuned!

“Senza toccare” di Nermin Yıldırım (Altano Editore ,2021)

Con libri come “Senza toccare” non ci sono preamboli che tengano: quello di  Nermin Yıldırım è un romanzo splendido, una meravigliosa, straziante e catartica discesa nei meandri più profondi della mente e del cuore di una donna e una risalita verso la luce portata da nuove consapevolezze.

Adalet ha 29 anni e riceve la terribile notizia di essere affetta da una malattia incurabile che la condurrà inesorabilmente alla morte. Per carattere diffidente, chiusa, spigolosa e continuamente pervasa dal senso di colpa, cerca di andare a ritroso nella sua vita e di ritrovare la sua colpa originaria, il suo personale peccato originale, causa a parer suo del temendo male che l’ha colpita, per poterla poi espiare. Intraprende, dunque, vari viaggi per portare a compimento il suo proposito. Nelle peregrinazioni che comincia ad intraprendere in una Turchia nella quale vecchio e nuovo, antico e moderno si alternano in un continuo gioco di rimandi e di raffronti, incontrerà un uomo che cercherà di farle guardare se stessa e la realtà da una nuova prospettiva.

Adalet ci affida letteralmente la sua storia, ci racconta senza filtri le sue fragilità, i suoi dubbi, le sue personali sconfitte e conquiste, in prima persona, catturando l’attenzione del lettore. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, guardando alla descrizione della nostra protagonista, non si può non sentirsi empaticamente legati e toccati da lei, dalle sue vicissitudini. Ognuno di noi vive delle lotte interiori, ha dei tormenti, ha qualcosa di irrisolto o che vorrebbe cambiare o ancora a cui vorrebbe porre rimedio. Ogni riga del testo composto dalla Yıldırım che è reso prezioso da una prosa elegante e a tratti intrisa di poesia, è vibrante di emozione, anzi di emozioni forti. La parte finale dell’opera, poi, è un vero e proprio inno alla vita, un monito a non sprecarla, a lasciarsi attraversare da essa, fino in fondo, nel bene e nel male, perché non si vive davvero senza lasciarsi sforare e attraversare dagli eventi o dalle persone.

A chi è incuriosito dalla Turchia e dalla letteratura turca consiglio vivamente di consultare il catalogo della casa editrice Altano e di guardare i suoi account social, ricchi di notizie e di informazioni.

Vi parlerò presto di un altro romanzo, “La Casa di Leyla”, mantenendo aperta questa finestra su Istanbul. Mi piacerebbe inoltre, fare delle domande agli editori per approfondire una produzione letteraria estremamente suggestiva, Li ringrazio sentitamente per avermi inviato i libri e per aver condiviso con me il progetto che stanno portando avanti che ha un valore culturale inestimabile. Non mi resta che lasciarvi alle pagine di Nermin Yıldırım e alla preziosa storia che ci ha raccontato.

“Lo specchio di Sara” di Marica Petrolati (Scheletri Ebook, 2021)

“Scheltri” mi ha dato di nuovo l’opportunità di leggere uno dei racconti horror de suo catalogo, li ringrazio per questo e li ringrazio per avermi proposto “Lo specchio di Sara” di Marica Petrolati, una delle opere horror migliori che io abbia mai letto. Riconosco di non essere una grande esperta del genere, che non leggo molti horror, ma senza alcun dubbio, dopo essermi immersa nelle 26 pagine di questo testo, di trovarmi di fronte ad un piccolo capolavoro del genere e ad una grande narratrice.

Intanto brevemente vi illustro la storia e poi vi parlo delle mie impressioni.

Monica e Gabriele sono sposati e hanno una meravigliosa bambina, Sara. La loro vita sembra tranquilla, fino a quando alcuni comportamenti della bambina cominciano a diventare inquietanti.

Non posso raccontare di più per non rivelare troppo, ma posso dire che l’autrice ha raggiunto il suo scopo: costruire qualcosa che spaventi ed angosci (ho avuto i brividi anche dopo aver finito di leggere il testo).

Fino all’ultima riga si sta con il fiato sospeso, la precisione nella costruzione della trama e del suo svolgimento è impressionante. Ogni elemento è al posto giusto e ogni evento al momento giusto. La suspense è palpabile per tutto il tempo della storia e regge in modo ottimale fino all’ultima parola. Non ci sono scene splatter, ma una tensione emotiva e psicologica, che parte dai personaggi e arriva a chi legge. Se avete voglia di rituffarvi nelle atmosfere disturbanti di un mini film horror, ma sulla carta, ecco “Lo specchio di Sara” è l’opera perfetta per voi!

“Io sono Gordon Bloom” di Francesco Cariti (Scrittura a tutto tondo, 2021)

Finalmente, dopo un anno lavorativo molto intenso, posso rifiatare e dedicarmi di più alla lettura e alle recensioni, per cui il blog non va in vacanza! Riprendo a scrivere, parlandovi di “Io sono Gordon Bloom”, propostomi da “Scrittura a tutto tondo”, che ringrazio di cuore, perché è per me un piacere ricevere tanta fiducia e testi sempre così interessanti.

Gordon Bloom è un agente di commercio, nello specifico si occupa di quadri. Totalmente anaffettivo, dedito a perseguire solo il proprio tornaconto, il proprio ideale di una vita comoda e agiata, dà avvio ad un vortice di efferati omicidi, che racconta in modo totalmente “crudo” e quasi distaccato.

La narrazione, è condotta in prima persona. In effetti è chiaro sin dal titolo che l’io è il pronome predominante nel romanzo, perfetto specchio dell’ego sconfinato del protagonista. A metà tra autoanalisi e diario, Gordon ripercorre la sua esistenza, quasi la spiattella in faccia al lettore, un po’ con compiacimento, un po’ con l’intento di riflettere, ma senza mai pentirsi o cercare l’assoluzione. Il narratore ci conduce per mano nel racconto, con pause, spiegazioni, pensieri, quasi come se ci parlasse faccia a faccia.

“Non ci sono implicazioni morali nelle mie decisioni, peso solo vantaggi e svantaggi”. Questa frase riassume perfettamente il modus operandi del nostro mercante d’arte e dà un’immediata idea di chi egli sia e di come ragioni.

Analizzando le vicende di Gordon, si ha modo di meditare su argomenti di fondamentale importanza quali il concetto di giusto e sbagliato, di ineluttabilità del proprio destino e di libero arbitrio. Pur essendo un romanzo ricco d’azione, che fa quasi pensare alla sceneggiatura di un film americano, non manca, come si evince da quel che ho detto, una profondità di intenti che spinge ad andare oltre l’azione, la suspense, il puro genere giallo, per cercare qualcosa di più, qualcosa che concerne ognuno di noi, perché ripensare alle proprie esistenza, alle proprie decisioni, all’impatto che anche la più ininfluente di esse può aver sul resto delle nostre vicende umane, riguarda chiunque.

Lo scopo di un libro è quello di intrattenere, di far divagare, ma anche quello di suscitare interrogativi e far ragionare e “Io sono Gordon Bloom” riesce a raggiungere entrambi gli obiettivi. Complimenti a Francesco Cariti e complimenti a Scrittura a tutto tonda per la cura nella selezione delle opere del suo catalogo.

“Al mutar del vento” di Paola Maria Liotta (Il Convivio Editore, 2020)

Amo tantissimo seguire il percorso degli autori con i quali sono entrata in contatto, vedere la loro evoluzione, capire dove la loro vita letteraria li stia portando, per cui sono stata particolarmente felice quando “Scrittura a tutto tondo”, che ringrazio di cuore, ha portato alla mia attenzione il nuovo libro di Paola Maria Liotta. “Al mutar del vento” è un romanzo estremamente originale, che potrei sinteticamente  definire una sorta di riscrittura del mito di Teseo e Arianna e nel quale ho ritrovato le caratteristiche dell’autrice che già mi avevano colpita quando l’ho “incontrata” per la prima volta grazie a “Piano concerto Schumann”, ossia l’eleganza stilistica, la raffinatezza e l’interesse per il mondo classico che viene amplificato nell’opera di cui vi sto parlando, visto che un mito ne costituisce la base narrativa. La leggenda che già conosciamo, non viene semplicemente riproposta, ma viene analizzata in modo approfondito, dai protagonisti stessi.  La loro “versione dei fatti” viene resa in modo personale e l’uso costante dell’io come voce narrante, ne è la conferma. I pensieri di Arianna, di Teseo e degli altri “attori” coinvolti vengono a galla dando vita ad un flusso impetuoso di emozioni, ricordi, considerazioni e riflessioni. Ho parlato di romanzo, ma in realtà, secondo me, questo scritto travalica i generi letterari, perché in alcuni momenti potrebbe diventare pièce teatrale visto l’uso del monologo, mentre in altri si fa poesia, visto il linguaggio estremamente ricercato.  Consiglio questo libro a chi ama opere inusuali e non scritte per seguire mode o stereotipi, ma per il puro piacere della scrittura, per l’esigenza di raccontare qualcosa per cui si ha tanta passione. Sembra una cosa banale da dire, ma penso che trovare opere del genere sia tanto raro, quanto meraviglioso, come raro e bello è trovare sguardi che con delicatezza cercando di approfondire, di capire e di cercare una visione personale delle cose. In effetti uno degli “insegnamenti” che si possono ricavare da “Al mutar del vento” è questo: la verità non è mai univoca, le cose possono avere vari risvolti a seconda di chi la racconta. Passando dalla storia alla materia da cui la storia è stata tratta, è importante secondo me non far disperdere il patrimonio che ci deriva dalla cultura greca e latina: si può in chiave moderna o originale diffondere quando essa ci ha offerta, facendole rivivere. Altresì importantissime e pregevoli ho trovato le pagine dedicato alle donne, che parlano della loro “condizione”, delle loro problematiche e che si prendono lo spazio a loro dovuto. Non posso, dunque, che esprimere un giudizio più che positivo su “Al mutar del vento” ed invitarvi a leggerlo.

“365 giorni senza di te – Seconda parte” di Anna Bells Campani e Raffaella Di Girolamo (Sperling & Kupfer 2021)

Il viaggio di Anna Bells Campani e Raffaella Di Girolamo continua con la seconda parte di ”365 giorni senza di te” e, insieme al loro viaggio narrativo, proseguono l’autoesilio di Can Divit che vaga per il mondo, in attesa di sentirsi pronto per tornare a casa e “l’inverno emotivo” di Sanem Aydin, che dopo le cure in una clinica, va a vivere in una tenuta in campagna. Navigando e arrivando nei luoghi più disparati, da Panama alla Tunisia, dalla Scozia all’Italia, Can cerca di dimenticare, di alleviare il suo senso di colpa per aver lasciato Sanem, ma ogni luogo le racconta di lei, in ogni luogo la vede mentre dal canto suo la giovane, ha il cuore pieno di dolore, ma anche del ricordo del suo amor, congelato in stessa, forse, che possa tornare a vivere. Il nostro protagonista tornerà ad Istanbul, la sofferenza della nostra scrittrice finirà? Lo scopriamo alla fine del testo, ma il percorso per arrivare all’epilogo è denso di emozioni.

Anna e Raffaella hanno fatto centro ancora una volta, componendo un libro emozionante e che riesce a far breccia nel cuore di chi legge. È chiaro, intanto, il loro percorso di maturazione nella scrittura. La loro complicità, è sempre intatta e si intuisce dal fatto che le parti scritte dall’una e dall’altra sono perfettamente integrate, cosa che è avvenuta in modo assolutamente spontaneo (me lo hanno confermato durante la presentazione svolta a ridosso dell’uscita del romanzo). Anche nella seconda parte di 365 giorni sono riuscite ad integrare efficacemente alcuni (pochissimi, in realtà) elementi della storia di Erkenci kus con quelli di loro invenzione. La storia di Erkenci è diventata la loro storia, grazie all’inventiva e all’abilità narrativa e personalizzandola sono riuscite nell’intento di avvicinarla ancora di più allo spettatore oltre che ovviamente al lettore. Uno degli elementi di discrepanza dalla serie è un’attualizzazione della narrazione, grazie all’inserimento di più riferimenti temporali o episodi riconducibili a momenti precisi (Erkenci è sicuramente atemporale), cosa che indubbiamente avvicina le vicende dei personaggi al pubblico. A proposito di tempo, sono presenti numerosi flashback, che sono come il ravvolgersi di un nastro, un seguire i passi a ritroso, per ritornare a casa, al punto di partenza. Ho apprezzato tantissimo i ritratti delle donne di Erkenci e l’attenzione alle problematiche femminili, purtroppo ancora di grande attualità. Parte della magia della dizi tuca da cui ha preso spunto il lavoro di Anna e Raffaella deriva, a mio parere, deriva dall’inserimento di costanti rimandi simbolici, simboli che ritornano in modo puntuale e anche suggestivo, nello scritto. La cosa, forse, più bella di quest’opera, è che ognuno potrà trovare un legame con qualcosa di personale e penso che sia proprio questo uno dei segreti del successo di questa “fanfiction”. Ad esempio, uno dei momenti che ho preferito è quello in cui Can, in scozia, trova una libreria ambulante, sceglie un libro e lo legge, trovando delle parole che sembrano parlare della sua vita. Ebbene, in quel momento ho pensato al “Bibliomotocarro”, ideato da un maestro in pensione e che andava in gio per la mia regione, a regalare libri ai bambini die paesi più piccoli e più difficilmente raggiungibili. Mi sono commossa e non nascondo che mi è successo in più punti, soprattutto nelle parti conclusive del romanzo. Concludo citando uno dei passi a mio avviso più commoventi del libro e augurando ad Anna e Raffaella buona fortuna per il loro futuro, le seguirò ancora con entusiasmo, aspettando quanto di nuovo produrranno.

 

“Fa così freddo, dicembre è ormai arrivato. Ho sempre amato la neve, la attendo da giorni e rende la mia Istanbul ancora più bella. È così romantica, ma anche malinconica. Come si fa a pensare che sia qualcosa di assolutamente gioioso un piccolo fiocco che cade sul terreno e che un attimo dopo si scioglie? Mi rendo conto che col tempo mi sono trasformata in quel fiocco, ma non mi sono ancora posata e sto ferma tra cielo e terra”

“Il ritorno di Pazuzu” di Danilo Arona (Scheletri ebook, 2021)

Recensione dedicata a voi che amate le emozioni forti, il brivido, la suspense, il terrore e l’oscuro insomma per voi, appassionati di horror. Scheletri ebook è una sezione della piattaforma Scheletri.com, nella quale potrete trovare pane per i vostri denti, nella quale sono presenti saggi e ebook a tema. Proprio a questa “collana” è riconducibile il racconto lungo di Danilo Arona, scrittore prolifico, giornalista e ricercatore, “Il ritorno di Pazuzu”.

Sam Spintzer vive in una cittadina canadese apparentemente molto tranquilla. Una notte però, scompare e i testimoni dicono che sia stato catturato da una strana creatura. Molti anni prima, lo stesso Sam aveva portato una ragazza, Jay, a fare un giro fuori città, nel tentativo di conquistarla. I due però, sono costretti a fuggire immediatamente da un terrificante mostro, che assomiglia moltissimo a Pazuzu, il demone sumero che ritroviamo nel fil, (e nel libro) “L’esorcista”.

Il poliziotto incaricato di indagare sulla sparizione di Sam, trova qualcosa, che lo aiuterà a comprendere meglio l’accaduto e, forse, un legame tra i due avvenienti.

Il testo è scritto con indubbia maestria e padronanza narrativa. L’incipit, incisivo e secco, riesce immediatamente ad “agganciare” chi legge e ad esso fa eco un finale sorprendente. Riuscitissima, poi, è l’idea di inserire una “storia nella storia” per dare una spiegazione agli avvenimenti principali. La trama si dipana in modo sapiente, ogni tassello è al punto giusto e inserito al momento giusto. A mio parere, poi, alcuni segmenti del testo, potrebbero essere il punto di partenza per dare vita ad altre storie. Un altro elemento su cui vorrei porre l’attenzione e che mi ha molto colpita, è il grande equilibrio presente nel testo. Mi spiego meglio: si rischia, a mio parere, con l’horror, di scivolare nel grottesco o nell’esagerazione. Arona invece, riesce a rimanere nei canoni, ma con misura e proponendo qualcosa di credibile e non eccessivo. L’autore ha composto un’opera capace di intrigare anche chi preferisce altri generi letterari. Io, devo ammetterlo, sono tra questi, eppure ho trovato lo scritto coinvolgente, raffinato leggendolo con grande curiosità e con grande interesse.

“Morgan e l’orologio senza tempo” di Silvia Roccuzzo (2019)

Con colpevole ritardo vi propongo la recensione di “Morgan e l’orologio senza tempo”, scritto da Silvia Roccuzzo.  L’autrice ci propone una storia divertente, fresca, ricca di azione e con una protagonista femminile coraggiosa e determinata. Morgan è una “piratessa”, una comandante risoluta e dal caratterino per nulla facile. Sulla sua nave, con la sua ciurma tanto strampalata quanto spassosa, solca il Mar dell’Oblio e si troverà protagonista di una serie di “disavventure” che la costringeranno non solo a mostrare tutta la sua forza e la sua arguzia, ma anche a fare i conti con un passato sorprendente e col tempo che, forse è la cura per tutto.

Ho trovato il libro davvero delizioso e particolarmente adatto ai ragazzi che amano la lettura o che vogliano avvicinarsi ad essa. Il loro interesse sarà sicuramente catturato Questo romanzo è popolato da personaggi coloratissimi, che riescono ad attirare la simpatia del lettore, in primis Morgan, che non è la affatto la tipica principessa delle favole, ma una ragazza capace di autodeterminarsi e di farsi largo in un mondo maschile. In più l’opera è costellata di misteri da risolvere, tesori da trovare, nemici da sconfiggere e condito da una buona dose di sana ironia. L’impianto narrativo dell’opera, è semplice, la trama è “riconoscibile” e trattata con un linguaggio accessibile a tutti. Il lettore troverà temi tipici sia del romanzo d’avventura, sia del fantasy, sia del romanzo di formazione (battaglie, ricerche, amicizia, lealtà, amore, segreti da scoprire, crescita personale), quindi chi ama questi generi amerà questo testo, che è sicuramente una lettura piacevole e distensiva.

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