Finalmente tra poco andrà in onda, su Rai1, la fiction “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore”, cosa della quale sono estremamente felice, da lucana e da estimatrice dei romanzi dai quali la serie è tratta. Per l’occasione ho pensato di fare un regalo a me e ai lettori del blog, ponendo delle domande alla scrittrice che ha dato vita all’eccentrica procuratrice materana. Sono onorata, dunque, di presentarvi questa intervista a Mariolina Venezia, che ringrazio sentitamente. Non vi nascondo che per me è stato molto emozionante parlare con un’autrice del suo calibro e in effetti, in alcuni momenti della nostra chiacchierata, gli effetti dell’emozione si sono fatti sentire. Tralasciando le défaillance della sottoscritta, trovo che le risposte che ho ricevuto siano straordinarie e ricche di spunti interessanti. Buona lettura dunque e mi raccomando, non perdete la fiction questa sera e correte in libreria, il 24, a comprare “Via del Riscatto”, il quarto volume della saga dedicata alla Tataranni.
- C’è un legame, un filo conduttore tra “Mille anni che sto qui” e “Come piante tra i sassi”, anche se sono opere molto diverse tra loro?
Sì, anche se sono, appunto, opere molto diverse, c’è un filo conduttore perché “Mille anni che sto qui” si interrompe nel 1989, quando cade il muro di Berlino e inizia la globalizzazione. “Mille anni che sto qui” racconta il territorio, racconta la Basilicata e io volevo continuare a parlare di questa terra e di quello che succede in Basilicata dopo il 1989. Inizialmente avevo pensato di continuare la saga, però poi mi sono resa conto che parlare dei giorni moderni non è facile con la forma della saga, per questo a un certo punto ho individuato nel giallo il modo migliore per poter raccontare alcune cose che succedono in Basilicata, non perché io voglia continuare a parlare a tutti i costi della Basilicata, ma perché penso che sia una terra dove ci sono dei contrasti talmente forti che vanno al di là del luogo stesso e che quindi raccontano un po’ tutta l’Italia. Il tono di “Mille anni che sto qui è lirico, poetico e quello di Imma a volte invece è spoetizzante, ma anche nei romanzi di Imma ci sono delle pagine liriche, che sono in genere legate al paesaggio e c’è appunto questo contrasto con uno sguardo più scanzonato, più materialista a volte, che è quello di Imma.
- In effetti lei riesce a far coesistere perfettamente un linguaggio lirico e poetico e un linguaggio più realistico, ad esempio quando parla Imma con le sue “inflessioni dialettali”. Com’è riuscita a trovare questo equilibrio linguistico?
Prima mi chiedeva della continuità tra “Mille anni che sto qui” e i romanzi di Imma. Anche nel linguaggio ho proseguito la stessa ricerca, in qualche modo, perché in “Mille anni che sto qui” uso un linguaggio dove c’è un’eco del tempo che racconto, quindi quando parlo dell’Ottocento c’è l’eco di quel linguaggio ottocentesco pieno di dialetto, pieno di un tempo molto disteso, molto lungo che diventa più veloce man mano che ci si avvicina ai giorni nostri. Nei romanzi di Imma non c’è proprio il dialetto, ma c’è quel tipo di linguaggio che adotta chi viene dal dialetto e quindi di chi oggi parla l’Italiano, ma un Italiano fortemente influenzato dal dialetto, dalle espressioni dialettali o gergali, un Italiano molto parlato, anche se nello stesso tempo c’è molta cura del linguaggio. Di solito nel giallo lo scrittore deve scomparire, ma i miei gialli sono un po’ diversi perché c’è comunque un’elaborazione letteraria. Devo dire che col tempo (Imma ormai è al suo quarto romanzo, il quarto esce fra poco, il 24 settembre) ho trovato un equilibrio, con un linguaggio che desse qualcosa al lettore, che gli facesse vivere delle emozioni, che lo divertisse e lo facesse riflettere, senza però dilungarmi troppo. Bisognava fare in modo che l’aspetto letterario non prevalesse su quello giallistico. Questo equilibrio si è delineato col tempo, tanto è vero che nell’edizione tascabile ho rivisto anche “Maltempo” e “Come piante tra i sassi” perché mi sono accorta che andavano limate la parte letteraria e le digressioni, che pure ci sono, di mondo che il lettore potesse gustare il giallo, senza però rinunciare a qualcosa di più elaborato.
- Quanto è difficile far evolvere un personaggio che è diventato così familiare e riconoscibile?
Non è difficile, nel senso che, come dicono spesso gli scrittori seriali, e quindi anch’io, il primo romanzo di Imma non è nato come il primo di una serie. Questo personaggio, però, ha continuato ad essere molto vitale, mi venivano in mente altre cose e ad un certo punto mi sono detta che avrei potuto scrivere un altro libro. Quindi è stata una cosa naturale quella di continuare a farlo vivere. Credo, però, che si debba avere il polso della situazione. Bisogna capire fino a che punto il personaggio è vivo e fermarsi prima che diventi ripetitivo, che diventi una sorta di formula da propinare ogni volta al lettore.
- Ho definito Imma un’icona, un’eroina sui generis perché è iconica, ma anche una donna molto normale, una moglie una mamma con tutte le sue problematiche. Si è ispirata a qualcuno per darle vita?
Più che il fatto di essermi ispirata a qualcuno, che non è molto interessante, quello che invece mi sembra interessante evidenziare è una tematica in Imma. Siamo in un mondo in cui è obbligatorio essere originali, distinguersi dalla massa, trovare delle cose ricercate, Imma è contraria a tutto questo. Proprio in questo suo essere contraria sta la sua originalità, alla fine, perché Imma non cerca di essere originale, non cerca di essere quello che non è, quindi in questo aderire a se stessa diventa originale. Ogni essere umano, in realtà, se è se stesso, è originale perché non ci sono due persone uguali e quindi solo in una ricerca di originalità si rischia di diventare uguali agli altri. Questo è uno dei tratti di Imma, che si rifà anche alla tradizione. Lei è una donna molto legata alla tradizione, anche se poi è una donna molto moderna. Vive il suo ruolo in maniera moderna, vive in modo moderno il suo rapporto con gli uomini, con suo marito, con il giovane Carabiniere. In lei c’è questo misto di modernità e tradizione che a me piace sempre molto.
- Un altro elemento che apprezzo molto dei suoi romanzi è la sua capacità di descrivere luoghi e personaggi. Questa sua capacità descrittiva è influenzata dal suo lavoro di sceneggiatrice?
In realtà è un po’ il contrario. Ho iniziato a fare la sceneggiatrice perché avevo questo “talento visivo”. Già le prima poesie che ho scritto (il mio primo avvicinarmi alle porte letterarie è stato attraverso dei libri di poesia che ho pubblicato in Francia), erano delle poesie molto visive, quasi dei quadri fatti con le parole. Da lì si è sviluppato poi il legame con il cinema e con le arti legate a ciò che si vede. In ogni caso è anche una cosa molto personale, mia. Amo molto, sin da quando ero piccola, andare in giro, in macchina e perdermi nell’osservazione del paesaggio, che è molto ricca, molto suggestiva e mi suggerisce sempre delle fantasie, delle emozioni e da lì vengono questi romanzi. Infatti un signore ha colto questa cosa e mi ha detto che gli sembrava di vedere qualcuno che se ne andava in giro e che poi riportava le sue sensazioni.
- Per quel che riguarda la fiction, non è mai semplice, secondo me, fare una trasposizione televisiva o cinematografica di un libro…
In questo caso non avrebbe dovuto essere difficile, perché Imma mi è stata suggerita anche, in qualche modo dal mio lavoro di sceneggiatrice, per vari motivi. Mi sono diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia in sceneggiatura e questo è il mio lavoro. Questi libri, però, sono stati ispirati anche da un incontro, nel 2000, con Petros Markaris, un Greco, uno degli sceneggiatori di Angelopulos fautore di un cinema poetico e alto, quindi, che però lavorava anche per le serie Tv greche e scrittore di gialli. Lui mi ha dato un po’ l’idea di scrivere questi romanzi, non così lontani dalla sceneggiatura. Anzi quando ho lavorato alla sceneggiatura mi sono resa conto che Imma rende più in sceneggiatura che sulla pagina, per questo suo modo di fare, per il suo essere molto visivo, molto caratterizzato dal punto di vista visivo, gestuale, del movimento e dell’immagine. Detto questo le difficoltà non sono state insiste nel lavoro di adattamento, quanto nel rapporto con gli altri sceneggiatori.
- Siamo arrivate all’ultima domanda. Mi piacerebbe sapere come descriverebbe la sua Matera e la sua Basilicata letterarie.
Be’ forse dovremmo lasciarle descrivere a chi legge. Comunque parlo di una Basilicata fatta di contrasti, in cui l’arcaico convive con il moderno e quindi più si va avanti con la modernità, più lo stridio tra queste due culture è forte e crea delle situazioni drammatiche. Il paesaggio diventa drammatico, ad esempio, quando vediamo queste lande, queste colline di grano tutte gialle o tutte verdi, con le pale eoliche che sembrano una cosa mista tra la fantascienza e il Medioevo. C’è quindi la drammaticità del paesaggio, anche degli sfregi fatti al paesaggio con le pale eoliche, ma anche la comicità dello scontro di culture per cui, per esempio, in “Rione Serra Venerdì” c’è questa vecchietta vestita di nero che insegue la Tataranni chiedendo se fosse vero la vittima faceva bondage, perché ormai che un certo tipo di linguaggio è accessibile a tutti e quindi diventa comico.