Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

Mese: giugno 2020

“Almarina” di Valeria Parrella (Einaudi, 2019)

“Non saprò mai dire se è Napoli o se sono io. Se mi grava addosso tutta assieme perché sono stati giorni plumbei, pieni di pura e di dubbi, e sospetto. Oppure se è davvero la vista del palazzaccio dall’altra parte del cancello, l’onda gialla che gonfia, le cupole sotto le nubi, architravi troppo pesanti perché una donna sola possa reggerli. Se è fatta, la realtà, di terrazzi irraggiungibili, poteri irraggiungibili come li raccontano; oppure siamo solo noi in uno di quei giorni rari in cui, vestiti bene, affrontiamo le scale che cambiano la vita”

“Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa ogni volta che arrivo al varco di Nisida (come mi ripeto in testa il codice del bancomat mentre sto ancora camminando verso lo sportello). Ogni volta che entro mi sento in colpa. Alla sbarra, quando mi fermo per farmi riconoscere, mi viene da abbassare gli occhi, mostro il viso senza davvero guardare in faccia l’agente, come se avessi la macchina carica di cocaina. E la vedo alzarsi con uno sforzo enorme, quella sbarra, come se la dovessi sollevare io, fosse colpa mia che Nisida è un carcere minorile, le avessi scavate con le mie mani le strade di tufo che fanno arrampicare su la macchina. Come se mi stessero facendo un favore”

 

Ho scelto di cominciare la mia recensione con questi due passi che mostrano, senza bisogno di descrizioni inutilmente banali o artefatte, l’intensità e lo spessore di “Almarina”, romanzo candidato al Premio strega 2020. In effetti niente in questo libro è artificioso e poco autentico, a partire dalla protagonista, che ci fa capire immediatamente di che pasta è fatta.

È una donna concreta Elisabetta, abituata a guardare il dolore in faccia Si presenta in modo asciutto, diretto, mostrando alcuni dei suoi tratti peculiari (franchezza, sensibilità, carattere riflessivo) e parla in prima persona, senza affettazioni, dei suoi sentimenti e del suo delicato impiego. Insegna, infatti, in un carcere minorile ed è proprio lì che incontra Almarina, una ragazza con un passato estremamente difficile. Gradualmente la professoressa diventa un punto di riferimento importante per la sua alunna e le due si affezionano profondamente l’una all’altra, aiutandosi reciprocamente nel sanare le ferite ricevute nel corso dell’esistenza.

Il testo di Valeria Parrella, mi ha conquistata subito non solo perché è pregevole dal punto di vista tecnico e stilistico (si legge agevolmente, la narrazione è costruita in modo sapiente), ma perché è scritto con profonda umanità, con una partecipazione sentita nel raccontare la marginalità e perché è vibrante d’amore, nel senso più ampio e pieno del termine.

C’è l’amore per il prossimo che ti spinge ad aprirti anche quando in realtà vorresti restare chiusa nel tuo mondo. C’è l’amore per un mestiere complesso, in cui bisogna sì usare la mente, ma soprattutto il cuore (da insegnante non potevo non cogliere l’occasione per ragionare sul mio lavoro che è sì pieno di sfide e di ostacoli, ma mi arricchisce costantemente).

C’è l’amore materno, un attaccamento viscerale che non deriva dal legame di sangue, ma dal dono di sé.

C’è l’amore per la vita, che spesso mette alla prova, piega, ma non spezza se le si lascia la possibilità di stupirci, facendosi pervadere dalla sua forza.

C’è l’amore per Napoli, vivace e contraddittoria.

Tematiche importanti vengono dunque affrontate dall’autrice con taglio personale e intimista, attraverso una scrittura sanguigna e verace, che non può non appassionare.

Oltre a consigliare vivamente la lettura di “Almarina”, vogli anche invitarvi a guardare o riguardare la puntata del programma “Romanzo italiano” dedicata alla Campania, in cui viene intervistata anche Valeria Parrella. Conoscerete meglio la scrittrice, le sue opere, in particolare quella di cui vi sto parlando. Un altro racconto che non potrà non emozionare e far riflettere.

“Blue Room Hotel” di Roberto Monti (Horti di Giano, 2019)

Sono passati molti mesi, a dire la verità, da quando ho ricevuto “Blue Room Hotel”. Gli impegni scolastici mi hanno tenuta un po’ lontana dal blog e l’avvento della pandemia purtroppo ha reso la lettura e la scrittura alquanto complicati, anche perché le incombenze lavorative si sono moltiplicate. In ogni caso sono molto felice di parlarvi del romanzo Roberto Monti, un romanzo particolarissimo, in cui viene descritto un mondo inquietante e corrotto. Nella città immaginaria e cupa di Tap Town, è stato emesso il divieto di scrivere “su carta”. Molti scrittori, proprio per la mancata osservanza di questo veto, vengono assassinati (la scia di delitti conduce al tetro Blue Room Hotel che dà il titolo al nostro romanzo) e chi vuole continuare con la sua attività deve farlo nell’ombra, rischiando, appunto, la vita.

Monti ha confezionato un’opera interessante da diversi punti di vista. L’autore riesce a far calare perfettamente il lettore nell’atmosfera claustrofobica e torbida di Tap Town. La tematica centrale, ossia la contrapposizione tra libri cartacei e digitali, è affrontata in modo inusuale, se vogliamo, estremo, proprio grazie alla scelta di un genere come il thriller. La tensione è palpabile sin dalle prime righe e mantenuta per tutto il racconto. Il protagonista, Adam è un eroe assolutamente singolare, ambiguo e misterioso al punto giusto e di sicuro intrigante. I colpi di scena, poi, tengono viva la narrazione fino alla conclusione, che non mancherà di destare stupore.

Dopo la lettura scaturiscono inevitabili della domande e alcune riflessioni: è davvero così pericoloso e controproducente seguire la tradizione e non arrendersi agli ebook, è davvero così necessario “soccombere” alla tecnologia?

In realtà io credo che ci possa tranquillamente essere una convivenza pacifica tra queste modalità di fruizione dei libri, fermo restando che il cartaceo ha un fascino maggiore del digitale. Un’opera che resta lì, nel tempo, che occupa uno spazio fisico, che è consultabile concretamente, ha di certo un valore enorme, ma non va demonizzato il digitale, più immediato e “comodo” da un certo punto di vista. Ce n’è per tutti i gusti, in definitiva, l’importante è non perdere di vista il contenuto, l’eredità intellettuale di un’opera, di qualunque tipo essa sia.

“Come un respiro” di Ferzan Özpetek (Mondadori, 2020)

“E così andiamo avanti, barche contro la corrente, incessantemente trascinati verso il passato” (F. Scott Fitzgerald)

Il mitico Orient Express porta la giovane Elsa verso la Turchia e verso un futuro tutto da costruire. In Italia ha lasciato un evento doloroso, un pesante segreto che l’ha allontanata da sua sorella Adele. La donna prova a farsi trascinare dalla corrente dell’esistenza, ad inventarsi un nuovo io, ma non riesce a dimenticare fino in fondo il passato. Continua a scrivere delle lettere ad Adele, senza ricevere risposta, finché un giorno, dopo cinquant’anni di lontananza, decide tornare per trovare pace e ricucire il rapporto con l’amata congiunta. Quando bussa alla porta della sua casa, però, trova nuovi inquilini, anch’essi alle prese con i piccoli, grandi tormenti della vita.

In molti hanno già fatto notare che “Come un respiro” è un romanzo di stampo cinematografico e sono ovviamente d’accordo con chi lo pensa. I tempi della narrazione scanditi magnificamente (ci sono in sostanza tre filoni narrativi: quello epistolare, i ricordi di Adele e il racconto in terza persona del presente), la precisione dei dettagli, l’attenzione all’introspezione psicologica e la cura nel dipingere ogni singolo personaggio fanno sì che lo scritto si veda, come se passassero delle immagini sullo schermo. Uno stile pulito, mai lezioso e l’abilità nell’incuriosire il lettore, catturando costantemente la sua attenzione, sono ulteriori pregi attribuibili al testo del Maestro Özpetek, che ha l’eleganza di un classico senza tempo, una profondità donata da chi attraverso l’arte sa sapientemente scandagliare l’animo umano e una forte carica suggestiva.

Istanbul, una città che su di me esercita un enorme fascino, a mio parere è una delle protagoniste di quest’opera. Grazie alla sua vivacità e alla sua ricchezza storica, ha un ruolo fondamentale nel costruire l’atmosfera melanconica e intrigante del testo, che è però caratterizzato anche da un forte dinamismo, molto confacente al carattere volitivo di Elsa.

Oggigiorno purtroppo non si usa più mettere i sentimenti nero su bianco, raccontare su carta quello che succede nella propria quotidianità ad una persona cara lontana, non ci siede più e ci si prende del tempo per raccogliere con pazienza i pensieri, per condividerli e lasciarli su qualcosa di tangibile come un foglio. Nel mondo attuale la comunicazione si nutre, purtroppo, di tempi rapidi e a volte diventa più superficiale, per questo motivo ho adorato il fatto che delle missive fossero il modo per mantenere in vita, anche se solo idealmente, un legame che purtroppo si era affievolito. Questa sorta di diario, che però ha un destinatario, ci racconta con estrema sincerità una donna consapevole e complessa, smarrita all’inizio, ma pian piano più forte e decisa.

“Ho tanto cercato il mio posto nel mondo, ed era dentro di me: proprio qui, dove mi batte il cuore, dove fluisce il mio sangue, dove respiro, piango e rido restando viva. Il mio destino sono io”.

 

Queste toccanti parole descrivono alla perfezione Elsa, sono un compendio perfetto della sensibilità dello scrittore e indicano una grande verità: troviamo il nostro posto nel mondo quando ci accettiamo per quello che siamo smettendola di combatterci, quando ascoltiamo le nostre emozioni e viviamo pienamente i nostri giorni.

Vi lascio citando un ultimo passo, che racchiude l’essenza di un libro che è stato una meravigliosa scoperta.

“La vita scorre come un respiro. E dentro ci lascia la nostalgia per ciò che avremmo potuto fare e la consapevolezza di ciò che siamo diventate”.

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