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Sono stata in silenzio per un bel po’, ma ciò non significa che non abbia letto tanti bei libri. Proverò a descriverli brevemente e soprattutto a spiegare quello che mi hanno lasciato.

Vorrei cominciare da Mi chiamo Lucy Barton (Einaudi) di Elizabeth Strout, la struggente storia di una donna dal passato infelice che rivive la sua vita durante un ricovero in ospedale. La visita inaspettata della madre riapre vecchie ferite che ancora sanguinano e influiscono sull’esistenza della protagonista.

Questo romanzo è poesia pura: lo sguardo disincantato e innocente al tempo stesso di Lucy domina il racconto ed è semplicemente commovente. Con una lingua misurata e mai troppo carica l’autrice ritrae mirabilmente il personaggio principale con i non detti che popolano il suo vissuto e i suoi desideri. Intensità e sobrietà riescono a sposarsi perfettamente in un testo che ha anche il pregio di essere leggibile e non pesante.

Non potevo poi non fare un salto nella mia amata brughiera. Chi mi conosce sa che il cognome Brontë esercita su di me un fascino particolare e che divoro qualunque cosa venga scritta sulla famiglia di Haworth. Due titoli hanno catturato la mia attenzione e li consiglio vivamente a chi condivide il mio interesse: Charlotte Brontë, una vita appassionata di Lyndall Gordon (Fazi) e Ma la vita è una battaglia (L’Orma Editore). Entrambi i volumi seppur diversi (il primo è una biografia curatissima mentre il secondo una raccolta di lettere di Charlotte) mi hanno fatto conoscere meglio la maggiore delle sorelle Brontë, una donna combattiva, rigorosa, passionale, desiderosa di affermazione ma anche capace di stare nell’ombra, conscia del ruolo della donna nel suo tempo, ma anche a suo modo anticonformista. Una personalità complessa che ben emerge nel primo testo di cui mi ha colpito la ricchezza di dettagli ma anche l’attenzione posta all’analisi delle sue opere e che si rivela pienamente attraverso le parole delle lettere contenute nella seconda opera citata.

Sono stata affascinata anche da un romanzo originalissimo nella forma e nella trama, raffinato e pieno di  amore per l’arte in tutte le sue forme: mi riferisco a L’una e l’altra di Ali Smith (Edizioni Sur). Il romanzo è composto da due parti, una ambientata nella Ferrara del Quattrocento, dove una ragazza si finge maschio per poter diventare pittore (il riferimento è a Francesco Del Cossa che ha dipinto gli affreschi di Palazzo Schifanoia), l’altra ai giorni nostri e in questo caso la protagonista è Georgia, una sedicenne che affronta la morte della madre, attivista politica, scomparsa poco tempo dopo aver visitato Ferrara e quegli affreschi. Ali Smith riesce nell’intento di farci vedere (la vista è di fondamentale rilevanza sia concretamente che metaforicamente) con gli occhi dei due narratori, dando non solo valore alla loro voce che vuole levarsi prepotentemente ma producendo anche un’incredibile empatia con il lettore. Lo stile è personale,riconoscibile ed efficace.

Infine mi ha anche colpito uno spumeggiante giallo tutto al femminile, ambientato in una Milano misteriosa e affascinante, La sposa scomparsa di Rosa Teruzzi (Sonzogno).

Un giorno alla porta di Libera, che confeziona bouquet da sposa ritenuti “magici” e che vive con la figlia Vittoria e la madre Iole (settantenne disinibita e fuori dalle righe), si presenta una donna vestita di nero che vorrebbe far riaprire le indagini sulla scomparsa di sua figlia. Vittoria (la più intransigente e rigida del trio) non è d’accordo mentre Libera e Iole si buttano a capofitto in quest’impresa che porterà alla luce il dolore mai sopito per la morte del marito della fioraia e lati inaspettati del loro carattere.

Proprio questo viaggio nell’universo delle donne che sanno essere volitive, materne, complicate, coraggiose e libere è il fattore distintivo del romanzo che è scorrevole, immediato e anche adatto ad una trasposizione cinematografica.

Vi lascio sperando di avervi incuriositi e di essermi fatta “perdonare” per la lunga assenza.