Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

Mese: agosto 2018

Ritratti post concerto!

“Cos’è la musica?

Un lampo che illumina la tua mente o quel che dopo ne rimane, seppure poco, dandoti speranza”.

Le parole dello splendido monologo che introduce i concerti del Non abbiamo armi tour sono proprio vere: la musica può illuminare la mente e riscaldare il cuore, può far divertire ed emozionare, può unire e creare legami fortissimi. Soprattutto la musica di Ermal riesce a fare tutto ciò.

Ho atteso di poter ascoltare dal vivo e cantare “con lui” le sue meravigliose canzoni che non passano distratte, ma restano ancorate nel profondo, per oltre un anno, condividendo la mia passione musicale con persone diventate per me importanti. Guardando i video o le esibizioni in TV avevo aspettative elevatissime, che non sono state affatto disattese.

Nell’anfiteatro raccolto e graziosissimo di Rossano Calabro, infatti, è andato in scena uno spettacolo travolgente, ma anche intimo e toccante.

Ad aprilo la sensibilità e la delicatezza di Cordio, promettente cantautore (spero venga ulteriormente valorizzato) che si è esibito insieme ad un altro musicista di talento:  Davorio. “Altro che artista”, “Ritratti post diploma”, “Il Paradiso”, “1402”e  “Una danza”  ci hanno fatto immergere perfettamente in un clima di arte purissima. Cordio è l’esempio perfetto di come si possa fare musica senza inseguire mode e senza sgomitare per arrivare, ma cercando di dire qualcosa, come il suo “mentore” insegna.

Dopo il giovane siciliano una breve pausa e poi le note di Non abbiamo armi hanno acceso l’entusiasmo del caloroso pubblico,  del quale faceva parte anche il piccolo  e tenerissimo Giuseppe, che ha duettato con Ermal al Forum di Assago.

Non c’è stato bisogno di orpelli sul palcoscenico o di scenografie elaborate perché lo show avesse successo: sono bastate l’energia e l’emotività di Ermal che è stato coinvolgente e ispirato come sempre. Sorridente e con gli occhi pieni di gratitudine per l’affetto dei presenti (“È tutto troppo”, ha detto) ci ha regalato quasi due ore di talento e pura vitalità.

Con “Gravita con me”, secondo brano in scaletta, il cui video è stato girato tra i Calanchi lucani e che dunque mi è molto caro, eravamo già tutti carichi e pronti a scatenarci.

“Caro Antonello” è uno dei pezzi sicuramente più sentiti da Ermal, che per cantarlo si è seduto palco  rimarcando il suo sentirsi a casa quando è “in scena” oltre alla volontà di avvicinarsi al pubblico. La sua mimica e la sua voce hanno comunicato molto efficacemente l’intensità di questa perla del suo repertorio. Di sicuro le sue doti non sono un trucco e la magia vera è sì il pubblico (lo ha definito proprio così), ma soprattutto ciò che riesce a sprigionare interagendo con chi lo ascolta.

In “Schegge” Meta dichiara tutto il suo amore per la musica, un abbandono totale alle note e alle parole mostrato anche fisicamente quando, al termine della canzone, ha poggiato la testa sul pianoforte e lo ha quasi abbracciato.

“Mi salvi chi può” è un altro dei momenti live da “pelle d’oca al cuore”. Emergono a pieno, dal vivo, la visceralità e la potenza di questa canzone.

Con convinzione e partecipazione abbiamo tutti urlato a squarciagola quel “cambia le tue stelle” che ha donato positività a tanti e che ha rivelato tutta la bravura di Ermal.

Un intro/assolo con la chitarra elettrica e il ritmo battente dei tamburi ha reso meravigliosamente coinvolgente “Molto bene, molto male” in cui emerge anche la voce di Andrea Vigentini, bravissimo ai cori e alla chitarra (tutti i componenti della band ‒ Dino Rubini, Emiliano Bassi, Roberto Pace e Marco Montanari ‒ sono eccezionali).

Menzione speciale per Umano e l’attimo in cui avviene un cambio di ottava letteralmente da brividi che, se ce ne fosse ancora bisogno, mette ancora più in mostra le qualità vocali di Ermal.

Tra vecchi e nuovi successi dunque la serata è volata via fin troppo velocemente. Ciò che non andrà via tanto velocemente, però, è il ricordo di un evento memorabile: chi può non si lasci scappare l’occasione di veder dal vivo un artista completo e sempre sorprendente.

A corredo di questo resoconto, poco tecnico e molto istintivo, troverete le splendide foto di Valentina Ponzo, che vi porteranno visivamente al concerto. Potrete visionarne alcune all’inzio dell’articolo altre al seguente link:

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“La misura eroica” di Andrea Marcolongo (Mondadori, 2018)

I libri belli sono molti, quelli che ti restano appiccicati all’anima, invece, sono pochissimi e “La misura eroica” è uno di questi.

Confesso, con molta semplicità e senza artifici espressivi,  che mi ha stregata sin dalle prime pagine perché vi ho avvertito una forza, una delicatezza, un’umanità che mi hanno toccata nel profondo. La precisione formale è raggiungibile da qualsiasi abile autore, ma far sentire qual groviglio di emozioni che ha portato alla nascita dell’opera non è da tutti.

Un uso attento e intrigante delle parole, l’attenzione alla loro etimologia, grazie alla quale possiamo riflettere o capire meglio cosa diciamo e la scelta di fondare la narrazione sulla mitologia classica, da cui la nostra civiltà moderna non può assolutamente prescindere (si fa riferimento alla storia degli Argonauti e quindi alle “Argonautiche” di Apollonio Rodio), hanno dato all’opera originalità e valore aggiunto.

 

“Il mare è un lingua antica che ci parla.

E le sue parole sono la mappa da decifrare.

Non ha fine, ma infiniti inizi che si chiamano orizzonti.

Conosce l’arte dell’incanto, dello stupore, dell’impazienza e dell’attesa.

Inghiotte navi, offre doni, sorprende in porti che non compaiono sulle carte tracciate da altri che non siamo noi.

È dolce di onde e crudele di tempeste; la sua acqua è salata come il sudore della fatica, come le lacrime del tanto ridere, come il pianto del troppo dolore”.

 

Questo poetico inizio ci porta lungo le coste della Grecia, al momento in cui Giasone, figlio di re Esone, giovane ancora inesperto ed immaturo, decide con audacia di salpare sulla prima nave della storia, Argo e di andare a conquistare il vello d’oro per riappropriarsi  del trono usurpato al padre.  Insieme a lui altri giovani impavidi accettano di intraprendere viaggiare verso la Colchide, seppur con tante incertezze diventando eroi.

La parole eroe è centrale nel testo. Essa sembra essere così lontana da noi, dalle nostre fragilità, dai nostri limiti eppure non è così.

 

“Eroe per i greci era chi sapeva ascoltarsi, scegliere se stesso nel mondo e accettare la prova chiesta a ogni essere umano: quella di no tradirsi mai.

Vittorie e sconfitte non sono affatto il metro dell’eroismo: da millenni eroe è chi decide la sua vita, la sua misura sarà sempre grande perché sarà quella della sua felicità”.

 

“Tutti noi abbiamo un potenziale eroico che solo l’andare per mare può farci riscoprire. Insieme all’amore, che dell’eroismo di ogni singola vita è sempre scintilla”.

 

L’eroismo in effetti va di pari passo con l’amore. Non è un caso che  Giasone riceva la spinta fondamentale per adempiere al suo compito dall’amore per Medea e che Medea lasci la sua famiglia e aiuti il suo uomo sorretta solo da un immenso sentimento. Platone, per confermare ciò, ha formulato una teoria secondo la quale eros ed eroe avrebbero la stessa radice e che in qualche modo i termini eroico ed innamorato potrebbero essere accomunati.

Con temerarietà e per amore dunque Giasone affronta le sue peregrinazioni epitome di tutte le peripezie che ciascun essere umano, di ieri e di oggi affronta e in questo viaggio il percorso non è sempre lineare, anzi a volte è burrascoso. A questo proposito Andrea Marcolongo  cita anche “How to abandon a ship” (“Come abbandonare una nave”), manuale che l’ufficiale della nave Robin Moor, John J. Banigan, sopravvissuto al naufragio della nave stessa, ha redatto, insieme a Phil Richards (scrittore di professione) e che risale al 1942. Il messaggio metaforico che attraverso questo libro Andrea Marcolongo vuol far passare è questo: a volte per sopravvivere  bisogna guardare solo avanti e non indietro, bisogna avere il coraggio di lasciar andare ciò che ci blocca.

Tantissimi sono i momenti come questo in cui sia dal mito, che dalla lettura, che dall’esperienza personale dell’autrice, traiamo insegnamenti utilissimi e siamo portati inevitabilmente a legare ciò che leggiamo a noi stessi, a ciò che quotidianamente sperimentiamo sulla nostra pelle. La volontà di partire dalle radici della cultura occidentale per mostrare quanto alcuni sentimenti siano universali, di arrivare al particolare attraverso un retaggio comune, è un’altra delle peculiarità di questo affascinante “racconto” che, se vogliamo, è anche terapeutico. Probabilmente non gli ho reso giustizia con questa recensione, ma in ogni caso, invito ciascuno dei miei lettori a scoprire di persona “La misura eroica”, ad apprezzarne la qualità e perché no a riflettere su alcune delle bellissime pagine in esso contenute.

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