“Ci sono giorni in cui le incertezze le sento sotto pelle. Ci sono giorni in cui mi sento schiacciato dalle insicurezze di questo maledetto periodo. A volte mi sento l’unico, ma so che non è così. Chissà come sarà il futuro, chissà come saremo diventati quando questa pandemia sarà andata via. Chissà…
Io aspetto e intanto scrivo. Parole, musica, paura, piccole felicità. Scrivo di me, scrivo di noi…”
Questo post di Ermal Meta, insieme ad un tweet in cui si chiedeva quale sua frase ritenessimo più poetica, ha “causato” la nascita del mio articolo. I termini “scrivo” e “parole” messi vicini mi hanno non solo fatto pensare al fatto che attendo con impazienza il suo libro veda la luce (ho da sempre pensato che le canzoni fossero troppo brevi per contenere tutto il mondo espressivo del cantautore e che la sua abilità narrativa vada al di là dei pochi minuti di un pezzo musicale), ma anche al passato e al fatto che, proprio lo straordinario modo di comporre versi e di creare immagini, mi abbia fatto “innamorare” dell’arte di Ermal. In effetti prima di rimanere incantata da Vietato morire e dalla magistrale interpretazione di Amara terra mia, che mi ha commossa profondamente, ero rimasta folgorata da un verso di “Odio le favole”: “il futuro era bellissimo per noi”. Un verbo al passato accostato, per mezzo di un geniale ossimoro, al sostantivo “futuro”; due parole, una perfetta sintesi che esprime speranza, ma anche rimpianto per qualcosa di incompiuto, che mi provoca un’emozione intensissima ad ogni ascolto. Adoro di questo pezzo anche l’ispirazione a Karen Blixen nella frase, di sudore di lacrime o mare, ci sembrava la cura di tutto il sale. Di grande impatto è poi l’immagine di quella sposa “dietro al suo velo”, di un viso che si nasconde in attesa della promessa di un avvenire felice. Il verso “cuore che si stringe non tradisce mai” è semplicemente da pelle d’oca per la sua intensità e la sua verità.
Ancor prima però di “Odio le favole”, però, ricordo che spesso, casualmente (ancora non seguivo Ermal assiduamente), su Radio Italia ascoltavo “Gravita con me”, che ad un certo punto recita: “Il tuo viso è di un bello isterico”. Anche qui due parole, per raccontare il raggiungimento di una singolare armonia, per rappresentare qualcosa di spigoloso che al tempo stesso risulta attraente: una descrizione limpida, netta ed efficacissima. Che dire poi di “c’è un vento gelido, atletico”! Un elemento immateriale rappresentato col gesto preciso e scattante di uno sportivo, estremamente concreto. Ogni volta che il pezzo passava, pensavo che chi lo avesse scritto fosse davvero, davvero bravo. E non avevo ancora ascoltato praticamente nulla.
Arriviamo al 2017. Guardo come tutti gli anni Sanremo e ad occhi chiusi ascolto “Vietato morire”. Ermal canta questo verso: “E la paura frantumava i pensieri che alle ossa ci pensavano gli altri”.
In quel momento, con orecchie ed anima in ascolto, ho sentito un pugno nello stomaco, un intenso coinvolgimento emotivo che poi mi avrebbe portata a seguirlo. Quelli che ho citato sono versi crudi, che diventano quasi onomatopea o metonimia e fanno sì che chi ascolta si immedesimi nella storia che la canzone racconta, visualizzandola e sentendola. La durezza poi si addolcisce col ritornello, che è apertura alla speranza e al coraggio di cambiare le cose. Non si poteva non amare profondamente questa canzone.
In “Bionda” il cantante dice: le mie mani e le tue mani sono leggerezza”: l’uso del sostantivo al posto dell’aggettivo cambia completamente il verso rendendolo efficace.
Un altro verso per me è particolarmente poetico, poi, ed è contenuto nel brano “Voodoo love”. Ermal scrive: “Ma tu c’eri sempre, seppellita nel mio domani come fossi un seme”. L’immagine del seme che piano piano dà vita a qualcosa, che si cela nel terreno per poi crescere con vigore, l’idea di trovare nell’avvenire ciò che in passato si cercava e che si è svelato però con lentezza è semplicemente un’immagine originalissima e anche intensissima dell’amore. Anche qui inoltra, c’è una sorta di citazione letteraria. Non si può no pensare a Shakespeare e a “Sogno di una notte di mezza estate, ascoltando “ ma l’amore non usa gli occhi”.
“Schegge” è una delle canzoni più introspettive di Ermal, nata dopo un incubo e dedicata alla musica. All’ascolto mi ha colpito molto la scelta di descrivere i pensieri come uno stagno. Anche in questo caso l’immagine lascia spiazzati perché uno stagno è uno spazio piccolo, quasi angusto, mentre i pensieri dovrebbero essere in un luogo ampio, che lascia libertà. A volte però in effetti i pensieri possono essere imprigionati e in attesa che qualcosa li lasci andare via, in questo caso la musica. Arrivare al concetto in modo non scontato è proprio quello che rende tanto pregevole il testo di questo brano (in genera dei brani di Ermal).
“Se ci fosse anche per una carezza per ogni mio errore”. Chi non ha sensi di colpa, chi non ha bisogno di perdonarsi e di essere perdonato, chi non ha bisogno di un gesto di tenerezza. Non può lasciare indifferenti, dunque, una frase come quella presente in “Quello che ci resta”. “Il destino universale” è secondo me una piccola raccolta di racconti, con vari personaggi e vari punti di vista (come ho già detto nella mia recensione di “Tribù urbana”). Nel cuore mi è rimasta Marta, delicato e forte fiore tra le pietre, personaggio delineato in pochissime, struggenti e vivide battute. Potremmo anche dire che Ermal utilizzi il flusso di coscienza come tecnica narrativa, come in “Stelle cadenti” o anche in “Bob Marley”, ad esempio.
Potrei continuare ancora, ma termino con la canzone di Emal che amo di più e ha un titolo con un riferimento linguistico, si può dire: “Voce del verbo”. Dall’infinito di un verbo possono prendere simbolicamente vita i nostri pensieri e le nostre azioni, dall’abisso di un qualsiasi dolore si può arrivare a guardare le cose col giusto distacco e ritrovare la speranza.
“Camminare senza fretta, fare soltanto quello che spaventa, lasciarsi vivere perché è bellezza”.
Questa strofa del brano dimostra che le parole hanno un potere infinito, se utilizzata bene. Possono far male, possono dare coraggio, possono toccare l’intimo di ognuno di noi, possono mostrare angolature inedite del mondo ed Ermal è capace di questo con la sua scrittura, non solo nelle canzoni, ma anche nei due racconti che ha condiviso col pubblico e che ho adorato.
Non so in realtà, perché, ancora una volta abbia sentito l’esigenza di esternare i miei pensieri visto che ho sempre abbondantemente commentato ciò che Ermal scrive. Forse l’ho fatto perché dopo il post ho ritenuto che il fatto di sapere quanto il proprio talento sia apprezzato potesse essere confortante (lo so è un po’ troppo ambizioso come obiettivo), forse perché vivo di sensazioni, di idee e a volte sento la necessità di non tenere tutto dentro. Non so essere precisa, però spero che questo mio breve scritto possa piacere e possa essere piacevole da leggere e magari essere ben accolto da chi come me, ammira l’abilità letteraria del cantautore.