Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

Mese: aprile 2018

“Un bosco di pecore e acciaio” di Miyashita Natsu (Mondadori, 2017)

31351363_10217033389416748_3103199147935662080_nTomura ha 17 anni quando scopre la sua “vocazione”: far fluire al meglio il magico suono del pianoforte diventando un accordatore.
Il ragazzo è dotato di una spiccata sensibilità, ma anche di una granitica convinzione nella sua passione, che poi diventerà un lavoro.
Con pazienza e dedizione accompagnerà Itadori, per lui un mentore e un maestro, imparerà ad affinare le sue qualità, mostrando un’anima pura, pronta a cogliere la perfetta armonia della musica messa spesso a confronto con quella della natura e riuscirà a crescere dal punto di vista umano, aiutando anche, inconsapevolmente, due giovani clienti del negozio in cui lavora a trovare la loro strada.
La delicatezza e la poesia di questo romanzo sono una vera carezza per l’animo del lettore, come un sussurro che si leva contro le urla che troppo spesso si ascoltano nell’arte e nella realtà.
“Uno stile di una limpidità luminosa e quieta, carico di nostalgia, uno stile che paia dolce, fino a un certo punto, ma sia invece pieno di severità e profondità; uno stile bello come il sogno, ma certo come la realtà”. Queste parole citate nel romanzo e prese in prestito da Hara Tamiki, sintetizzano in modo egregio lo stile dell’autrice, ma in fondo anche lo spirito di tutto il libro che fa fluttuare chi lo legge trasportandolo in un mondo etereo, ricco di suggestioni e che, come un’incantevole melodia, tocca le corde del cuore.
La levità di “Un bosco di pecore e acciaio” nulla toglie però all’intensità con cui vengono affrontati temi come il talento, il contatto con i propri sentimenti, la perseveranza con cui si insegue un obiettivo e la capacità di migliorarsi con umiltà.
Tamura ci dice di guardare più in profondità nelle piccole cose che ci stanno intorno, di cercare la bellezza e la bontà, con attenzione e rispetto, perché in un paesaggio di montagna, nelle note di una sonata o nella scintilla rintracciabile neglio occhi di chi realizza il suo sogno si nascondono grazia e meraviglia.

“E con essi chiusa in una stanza” di Pina Palermo (Pioda Imaging Edizioni, 2017)

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“Voci di radici, di nebbia e di pioppi
Voci nella testa, voci contro il tempo
Che riempiono la vita restando nel silenzio
Voci che non sento più
Voci che sai solo tu
Manca la tua voce, sai”

 

All’improvviso, mentre ero immersa nella lettura, i versi di questa canzone di Zucchero sono affiorati alla mia mente e ho avuto l’impressione che racchiudessero l’essenza del romanzo di Pina Palermo, “E con essi chiusa in una stanza”: la narrazione si nutre delle voci che incessantemente “parlano” all’autrice rievocando le loro storie, e di radici, solide nonostante il vento della vita possa portare lontano dai luoghi di origine e dalle persone care, la cui voce però non svanisce mai a dispetto del tempo, della lontananza e della nostalgia.

Questo che definirei un viaggio del cuore parte da Roma grazie ai ricordi di Flaminia che riemergono “a causa” delle domande di un nipote davvero speciale e ci conduce ad Accettura, luogo fisico (ne percorriamo le strade, ne apprendiamo le tradizioni e le usanze) ma anche e forse soprattutto luogo dell’anima.

In via Lungo Calvario che diventa quasi metafora delle peripezie di un’intera esistenza conosciamo gli antenati di Flaminia tra cui spiccano la dolce Rachele e il marito Nicola, leggendaria nonna e Letizia e la sua degna, coraggiosa nonché omonima erede, ma anche l’inquieta e talentuosa Gaia, artista, cugina e fida compagna di Flaminia, almeno fino a quando non deciderà di recidere le sue radici per spiccare il volo verso lidi lontani.

Questi ed altri personaggi, perfettamente costruiti e vividi, risultano familiari e riescono a colpire profondamente, in alcuni momenti anche a commuovere.

Si avvertono palesemente, in ogni pagina, la verità e il coinvolgimento emotivo di chi ha concepito questo libro, che scorre veloce, ma riesce a trasportare perfettamente nella stessa dimensione onirica che ne è cifra stilistica costitutiva. In effetti, come ho già avuto modo di dire all’inizio, il tempo è fluido, dilatato e non ha più confini netti così come lo spazio che diventa sempre pretesto di evocazione, perde quasi un po’ della sua concretezza.

L’uso di un linguaggio ricercato e raffinato di certo aiuta a creare l’atmosfera ovattata che si avverte leggendo.

Chi ama Accettura amerà di sicuro questo libro, ma anche chi ama l’affabulazione o il sapore un po’ antico delle storie tramandate di generazione i generazione, chi sente il richiamo del passato, chi ama ascoltare  quelle voci interiori che sono parte di sé lo apprezzerà di certo.

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