Un libro e un caffè

"Leggere è sognare per mano altrui". Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.

Mese: marzo 2019

Recensione dell’album “Vivi per sempre” dei Canova (Maciste dischi, 2019)

 

Tardo pomeriggio, una chiacchiera tra amiche e ti ritrovi a scoprire un gruppo molto interessante: i Canova.

Ascoltando le nove tracce del loro album, “Vivi per sempre” si notano immediatamente il sound, moderno, fresco, ma con un tocco vintage che io adoro, e un’atmosfera quasi ovattata da giornata uggiosa che un po’ rende melanconici, ma al tempo stesso tempo riscalda e permette di raccogliersi in sé stessi.

In effetti sono canzoni introspettive, quelle dei Canova, anche se con suoni “leggeri” e un bel ritmo.

I testi sono estremamente curati e raffinati, con un’attenzione notevole alla lingua e al suo effetto evocativo, cosa che è sempre apprezzabile se si vuole fare musica di qualità. Ritengo, soprattutto da quando ho avuto modo di conoscere di più il cantautorato italiano, che ad una musica accattivante si debbano unire parole che comunichino davvero qualcosa e il gruppo di milanese riesce indubbiamente a farlo, arrivando a toccare emotivamente chi ascolta.

 

“Dimmi come si fa a guardarti negli occhi

Senza che siano assenti ma così non è

Dimmi come si fa a guardarti negli occhi

Senza arrendersi”

 

L’uso dell’immagine degli sguardi per descrivere la difficoltà o la fine di una relazione è estremamente riuscita, a mio avviso, e Per te è sicuramente uno dei pezzi più belli del disco.

Il dubbio, l’incertezza personale o di coppia è uno dei nuclei tematici principali di questo lavoro, declinato con storie diverse unite da questo filo conduttore.

Un altro soggetto che ho riscontrato è quello della ricerca di sé, della fuga per poter ritrovare la propria essenza (da soli o con una persona al proprio fianco).

 

Quanto ti pesa l’anima

Non lo riesci a capire

E sono stato lontano

Bevuto, caduto

Mi sono rialzato

Guarda come mi hanno rianimato

Sono tornato

 

La canzone che più mi ha colpita, anzi devo dire che mi ha commossa, è Shakespeare e non solo perché adoro il Bardo, quindi qualsiasi riferimento a lui mi conquista immediatamente, ma per quella vena nostalgica che pervade il brano, per l’acuta descrizione di quell’impercettibile graffio che si sente quando si guarda al passato e alla purezza dell’infanzia che da adulti si perde.

Vi lascio di seguito il testo integrale, non prima di avervi ovviamente consigliato l’ascolto di “Vivi per sempre” e di aver fatto un’ulteriore riflessione sul fatto che la musica italiana sta vivendo un periodo di notevole vivacità soprattutto grazie a giovani (solisti o gruppi) che fanno sfoggio di un talento davvero notevole.

 

Quand’ero piccolo giocavo da solo

Quand’ero solo giocavo al mare

E mi vedevo realizzare

Quand’ero piccolo giocavo a palla

E la vedevo sopra ogni suolo

Con la rincorsa di ogni uomo

E guardavo le onde del mare

Le vedevo correre e girare

Dicevo sono io tutto quello che sono, posso volare

Dicevo sono io col vento addosso, posso volare

La la la la

Quand’ero piccolo volevo bene a tutti

Salutavo con la mano da lontano

Indicavo tutti gli sconosciuti

E una scarpa persa per strada

E non so più se è solo malinconia

Ho visto un uomo passare

L’aveva negli occhi, sembrava la mia

Gliel’ho portata via

Recensione a “Il manoscritto incompiuto” di Liam Callanan (Casa Editrice Nord, 2019)

Di questo romanzo, inizialmente, mi ha colpito la trama (Robert, scrittore tormentato scompare, lasciando come indizi un biglietto aereo e un manoscritto incompiuto. Leah, sua moglie, che adora Parigi e il cinema, con le due figlie si trasferisce a Parigi, nel tentativo di ritrovarlo): non resisto ai libri che parlano di libri e in più essendo un thriller mi ha intrigato la componente di mistero ad esso connessa.

Poi l’incipit mi ha spiazzata: volutamente ambiguo, incisivo, costruito per catturare l’attenzione del lettore. In realtà ogni pagina è velata di ambiguità, l’autore non vuole dare certezze al lettore e mantenere la suspense oltre che a rende il carattere alquanto contorto e complicato di Robert, che è un personaggio ritratto in modo singolare attraverso poche azioni, ma utilizzando la rievocazione, una rievocazione dolente e angosciosa.

L’indagine nella psicologia dei personaggi è approfondita e anzi, tutto il testo si regge sui loro pensieri e sulle motivazioni delle loro azioni.

Nonostante alcuni momenti più lenti e ripetitivi, la lettura procede spedita: si vuole arrivare alla risoluzione dell’enigma e capire se Robert sia morto, se sia vivo, se Leah riuscirà a riprende in mano la sua esistenza e se anche Ellie e Daphne, le sue ragazze, sapranno la verità sul padre.

“Il manoscritto incompiuto” è in definitiva gradevole, permette di distrarsi per alcune ore, di immergersi nel fascino di una Parigi che si ritaglia a buon diritto il ruolo di cooprotagonista, di riflettere sulla scrittura, sulla difficoltà della scrittura e sul valore che i libri e l’arte possono avere.

In realtà è anche un romanzo sull’ossessione di un “artista” che non riesce ad esprimersi compiutamente ed è questo probabilmente che rende particolare ed interessante l’opera di Callanan che attraverso un personaggio senza dubbio sopra e righe riesce ad esporre una tematica originale e complessa, non annoiando chi legge.

Recensione delle spettacolo “Julian’s women” di Francesco Siggillino

Un rito radicato nella storia di un piccolo paese della Basilicata (il mio, per inciso), cinque donne diverse l’una dall’altra, ma legate dalla loro identità e dalla partecipazione fattiva al Maggio di san Giuliano che si svolge ad Accettura a partire dalla domenica di Pentecoste: questi sono i due elementi fondamentali di “Julian’s women”, lo spettacolo di Francesco Siggillino andato in scena il 1° marzo.

Poche parole, anzi pochissime, solo all’inizio per presentare, efficacemente, ma anche con tanta ironia, le “donne di Giuliano”, poi solo gesti, ricchi di significato a partire da uno dei momenti più commoventi della pièce quello in cui Erika, Madda, Antonietta, Antonietta ed Anna lasciano fuori il brusio della quotidianità per riaprire la scatola dei loro ricordi, ricca di oggetti cari, di tenerezza, di nostalgia (sottolineata dalla meravigliosa musica scelta dal regista), forse anche di rimpianto ma anche di amore e devozione per il patrono.

Tutti i momenti dei tre giorni di festa sono rivissuti con efficacia ed intensità e soprattutto sottolineando l’importanza del coinvolgimento femminile, tropo spesso trascurato a vantaggio della forza del ruolo maschile, sicuramente d’impatto, ma di certo non più importante. Si pensi all’allestimento delle “cende” (i caratteristici ceri votivi), alla preparazione del cibo per chi lavora concretamente allo svolgimento del culto arboreo i famigliari, gli amici, gli emigranti che ritornano appositamente per l’occasione, alla “vestizione” dei bambini col vestito del santo per arrivare poi, alla processione (una proiezione ci riporta al passato mentre le luci ci fanno tornare al presente, enfatizzando il fatto che il tempo passa, ma questa tradizione resta viva anche grazie alle giovani generazioni che devono assolutamente raccogliere il testimone dei più grandi e carpirne il sapere, ma anche lo spirito).

Francesco ci racconta dunque che le donne sono il cuore pulsante della celebrazione, sono forse più silenti dei maschi, ma fondamentali.

Proprio la mancanza di dialoghi aiuta nel dare importanza ai gesti, nel far comprendere al pubblico quanto siano pregni di valore e significato.

Scene più frizzanti di mescolano a scene più emozionanti, che inducono alla riflessione e questo ha conferito allo spettacolo un ritmo perfetto. L’attenzione del pubblico è stata catturata in modo abile ed infatti non è mai scemata.

Solo chi conosce bene quanto conti il Maggio nel nostro borgo poteva, grazie alle sue competenze e alla sua sensibilità artistica, costruire uno spettacolo tanto riuscito, capace non solo di dare allo spettatore una prospettiva nuova su un rituale ancora vitale e sentissimo, ma anche di raccontarlo in modo originale e chiaro.

Complimenti dunque al regista Siggillino, alle attrici, tutte del posto (Erika Urgo, Antonietta Palermo, Anna Defina, Maddalena De Rosa, Antonietta Fortuna affiancate dal piccolo Nicola Marino) e  bravissime nella loro interpretazione e speriamo che questo spettacolo posta essere replicato anche altrove.

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