La serata vissuta all’Auditorium Parco della musica, il 25 febbraio, con Ermal Meta e gli Gnu Quartet (Raffaele Rebaudengo, Francesca Rapetti, Roberto Izzo e Stefano Cabrera) è stata un vero sogno ad occhi aperti, durato troppo poco, purtroppo, perché la realtà quotidiana già è tornata a prendersi prepotentemente ed inesorabilmente la scena.

Per due ore, però, il mondo è stato chiuso fuori per lasciare spazio alla pura bellezza della loro arte.

In realtà non è facile trovare le parole tradurre qualcosa di impalpabile, che è stato scritto non con grafemi, ma con note e canzoni che si sono trasformate in emozioni fortissime. Certo è che nonostante la musica, ora che il momento dell’esecuzione è passato, risuoni in modo più flebile, solo nei ricordi, è ancora vivissimo ciò che essa ha suscitato.

L’apertura del concerto, è stata affidata a Cordio, accompagnato da Davorio e Matteo Fornasari.

Il cantautore siciliano ha proposto “La nostra vita”, “Il paradiso” e alcuni nuovi brani contenuti nel suo disco in uscita, che hanno confermato l’enorme potenziale di questo ragazzo nonché la profondità e la qualità delle sue “creazioni”.

Poi buio, atmosfera intima (nonostante le oltre duemila persone che la sala Santa Cecilia può contenere) e incanto.

Ha inizio una danza delicata di archi e flauto a cui si unisce il pianoforte per introdurre Voce del verbo. Questa canzone è già di per sé un dono per l’udito e per il cuore, ma la sua nuova veste la esalta. La sua ricchezza musicale, infatti, l’afflato lirico che la contraddistingue, la sua intensità risaltano ancora di più.

Dopo Lettera a mio padre, il ritmo e il registrano sono cambiati e il pubblico, sempre partecipe ed entusiasta, si è infiammato con Dall’alba al tramonto.

Intensissimo è stato il momento il momento in cui Piccola anima è stata prima intonata solo dagli spettatori per poi essere cantata e suonata per intero. Diventare la voce di un artista, anche se per qualche momento, ha un che di poetico.

Come in un ideale spartito si sono susseguite la melanconica 9 primavere, un’inedita Molto bene molto male, prima eseguita in modo lievissimo e poi con un incedere più cadenzato, alla sorpresa dell’immenso Antonello Venditti che ci ha regalato Roma capoccia e un discorso da maestro qual è (Ermal si è seduto sul palco ad ascoltarlo come un allievo ammirato e amorevole fa), il riuscitissimo e frizzante mash-up di Bob Marley e Billie Jean di Micheal Jackson, per arrivare gli splendidi pezzi del gruppo La fame di Camilla di cui Ermal era il frontman (particolarmente commovente è stata l’interpretazione di Sperare, in cui la delicatezza sonora, i giochi di luce e il battito del cuore simulato si intrecciano per creare un pathos e un’atmosfera indescrivibili).

Le cover (usare questo termine è riduttivo, lo so, perché sono reinterpretazioni sublimi) di Unintended dei Muse e Amara Terra mia di Modugno mettono quanto mai in risalto la voce del cantautore, potente, duttile, soave, ma fortissima. L’auditorium ha tremato e vibrato al suono dei suoi falsetti e dei suoi acuti.

Quello che ci resta, per citare un altro dei suoi capolavori, non è una solo una candela (mi si conceda la pessima battuta), ma una fiamma viva che arde di talento, di passione condivisa con altri musicisti eccelsi che hanno impreziosito il già pregiato repertorio di Meta.

Brividi e pelle d’oca mi hanno accompagnato per tutta la durata dell’evento e ancora adesso, la bolla di bellezza in cui sono stata catapultata non vuole scoppiare, ma forse è giusto che sia così. La nostra anima non può che trarre beneficio ed essere arricchita da tanta meraviglia.