“Madrigale senza suono” non è una semplice biografia romanzata di Carlo Gesualdo da Venosa, personaggio controverso e geniale musicista, ma un “ritratto tridimensionale”, che è stato concepito non solo tenendo conto del dato storico, ma anche delle “leggende” circolate intorno alla figura del principe. La narrazione ruota intorno al ritrovamento, da parte di Igor Stravinskij, di una “cronaca”, una biografia di Gesualdo probabilmente apocrifa, scritta da Gioachino Ardytti, suo presunto servo.
Il racconto è una progressiva marcia verso il momento più terribile dell’esistenza del protagonista, ossia la notte in cui egli ha assassinato la moglie, Maria D’Avalos, e l’amante, Fabrizio Carafa, in ottemperanza, alle regole dell’epoca, che richiedevano di punire in tal modo un tradimento.
L’anima di Carlo Gesualdo ne esce irrimediabilmente lacerata, divisa tra senso il senso del dovere e il rimorso, che lo tormenterà per sempre.
Tuttavia, forse, è proprio dal buio dell’abisso in cui Carlo Gesualdo è sprofondato che nasce la luce della sua arte, ed è questo uno dei nuclei fondanti del romanzo, uno dei temi che l’autore, Andrea Tarabbia, desidera trattare.
Come può un uomo che ha dato la morte creare bellezza con la sua musica? Questo è sicuramente un argomento complesso, affascinante, esaminato con grande profondità e spessore intellettuale, senza trascurare la fluidità e la qualità della scrittura.
Non è questa, però, l’unica nota interessante dello scritto, che è composito e ricco di suggestioni, dal sapore gotico in alcuni punti e linguisticamente variegato. Le parti in cui narra Stravinskij hanno uno stile e un registro diverso rispetto a quelle in cui è Gioachino a parlare e, anche in questo caso, si passa da momenti in cui il linguaggio è più elevato, a momenti in cui si avverte la sensazione che si voglia far sentire una voce più popolare, per così dire.
In quest’opera, che si nutre di contrasti, di dicotomie e di dissidi, mi è parso di avvertire un’attenzione al dato sensoriale che però va di pari passo con una costante ricerca spirituale. La sensazione è quella di una scrittura viva, modulata in modo da rendere tutta la complessità di un essere umano così sfaccettato e tutti i sapori di un’epoca che ancora ora è accattivante, misteriosa e piena di fascino.
Con grande sensibilità narrativa Tarabbia riesce a toccare una vasta gamma di corde emozionali: vengono tratteggiati in modo vivido l’orrore, il tormento, il dubbio, la gelosia, la passione, l’ispirazione che nasce dal dolore e a volte un pizzico di tenerezza. È impossibile non sentirsi coinvolti nella lettura, non “partecipare”, seppure tra le righe, alle vicende del principe e non immedesimarsi anche nella curiosità e nella dedizione di Stravinskij.
Devo confessare che tra i libri della cinquina del Campiello, “Madrigale senza suono” è il primo ad aver catturato il mio interesse, sia per la connessione tra la mia terra di origine e il suo personaggio principale, sia per il titolo che ha un’indubbia potenza sonora e cattura subito l’attenzione, sia perché avevo già avuto modo di “incontrare” le vicende del principe di Venosa in un testo che si fermava però ai meri fatti, e ho sempre desiderato leggere altro su di lui.
Devo dire che non sono rimasta affatto delusa da “Madrigale senza suono”, anzi, ne sono ancor più entusiasta dopo averlo letto. Mi sono completamente immersa nella lettura e soprattutto mi sono persa nelle pregevolissime, poetiche e potenti parti dedicate alla “musica” e all’amore che Gesualdo nutriva per quest’arte.
Per i temi trattati e per il modo in cui è costruito, inoltre, ritengo che sia perfetto per una trasposizione cinematografica.
Molti sono i passi che ho sottolineato (da tempo non mi capitava di farlo) e che mi sono rimasti impressi e voglio concludere la mia recensione con uno di quelli che ho amato di più:
“Altri pensano che la musica sia un condimento a ciò che qualche poeta ha scritto. Io penso invece che la musica sia la sposa delle parole, e che ogni parola sia una scatola dove tutto il dolore, e la gioia, e la vita, sono contenuti. Con i suoni, Maestro, noi possiamo fare esplodere questa scatola, donarle più dolore, più gioia, più vita di quanta ne abbia già. Questo fa la musica, fa esplodere i suoni”.
Durante l’incontro con i finalisti del Premio Campiello che si è svolto a Matera, ho avuto il piacere di parlare personalmente con l’autore del suo bellissimo romanzo. Troverete a breve anche l’intervista che gentilmente mi ha concesso.
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