Buon pomeriggio a tutti! Con molto piacere vi presento l’intervista che ho fatto a Valentina Bardi, autrice del romanzo “Ventiquattro”. La ringrazio tantissimo per aver risposto alle mie “curiosità” e vi invito a leggere le sue interessanti parole!
1) Per prima cosa vorrei chiederle in che modo ha costruito i personaggi del romanzo, che trovo realistici e ben descritti dal punto di vista psicologico.
Grazie per le osservazioni. Per me significano molto. Per tutto il periodo in cui ho pensato alla trama, non ho scritto nemmeno una parola: ho dato il
tempo ai personaggi, anche a coloro che compaiono solo una volta nel romanzo, di “formarsi”nella mia immaginazione in tutta la loro interezza. Mi sono presa un lungo periodo di riflessione: periodo in cui ho pensato molto e ho immaginato, magari vedendo e rivedendo certe scene e certe battute di dialogo fino a saperle a memoria. Così facendo, quando è stato il momento di scrivere, i personaggi avevano una loro “ossatura”: erano “vivi” e non delle sagome inverosimili.
2) Tra i vari personaggi mi ha colpito molto Chicca, che definirei lo spirito critico del romanzo e che si fa portatrice di molti dei messaggi che lei voleva dare attraverso la sua opera. Conferma il mio pensiero? Com’è stato darle vita?
Confermo al 100%. Federica (Chicca) è, dal mio punto di vista, il personaggio più
importante della storia, sia a livello di contenuto e di significato delle vicende narrate, sia a livello meramente tecnico. Federica è una sorta di “messaggero” che attraversa il dolore di questa storia perché già “abituata” al suo personalissimo calvario: le sue esperienze l’hanno resa dura e, a volte, scorbutica, ma progressivamente il lettore riesce a leggere la profondità di questo personaggio e il suo animo “puro”. Nei passaggi più delicati del romanzo, è su di lei che si
appoggiano gli altri; ed è su di lei che si fonda anche la struttura di base di tutto l’impianto narrativo. Ho fatto fatica a lasciarla andare dove voleva; soprattutto nei modi. Ma tengo sempre a mente la lezione di una maestra della narrativa contemporanea, Elizabeth Strout: se un personaggio è ben costruito, l’autore deve lasciarlo fare. Ed io ho avuto molta fiducia in Federica. La mia fiducia in lei ha superato i dubbi che, di tanto in tanto, sorgevano.
3) Ha usato spesso il dialetto nel libro e in generale una lingua molto aderente al parlato di tutti i giorni, soprattutto nei dialoghi. È stata una scelta ragionata per avvicinarsi in qualche modo al lettore oppure ha semplicemente utilizzato in modo naturale il suo idioletto?
È successo in maniera naturale e, aggiungerei, irrazionale; nel momento in cui ho realizzato che la storia si svolgeva dalle mie parti, ho immediatamente sentito la necessità di utilizzare una lingua che parlasse di questa terra, che sapesse raccontare le vicende in modo viscerale, senza terminologie artefatte. Anche questo, secondo me, ha contribuito molto a rendere i personaggi vivi e realistici.
4) Mi pare che abbia voluto non solo raccontare una storia, ma anche il suo territorio sia attraverso il linguaggio, che attraverso la descrizione dei cibi, ad esempio. È corretto?
Correttissimo… Il cibo in Ventiquattro diventa una sorta di personaggio a parte: ha una funzione narrativa importantissima perché spesso, in base a cosa si mangia, si coglie il mood e si percepiscono le relazioni emozionali fra i vari personaggi nelle varie scene. Il cibo è stato sempre di enorme aiuto narrativo e l’ho utilizzato come se fosse un transfert emotivo per far entrare il lettore negli umori della storia.
5) Mi piacerebbe che ci parlasse del suo gruppo di lettura e poi che mi dicesse se secondo lei il punto di vista del lettore e dello scrittore siano diversi o complementari.
Il gruppo di lettura Teodorico, è una piccolissima realtà del paese in cui vivo, Galeata: siamo persone di età, esperienze e vissuti diversi, accomunate dalla grande passione per la lettura. Per noi è diventato un modo per incontrarsi e parlare dei libri che amiamo e anche per approfondire e divulgare, sempre con umiltà, la letteratura italiana e straniera. Ogni storia, nel momento in cui diventa libro, si trasforma in qualcosa da condividere: da condividere con il lettore; per questo motivo, secondo me, ogni lettore è un valore aggiunto alla storia (e anche molto di più) perché leggendola, la fa sua, la interpreta e la “metabolizza” in modo personale.
6) In “Ventiquattro” ha affrontato delle tematiche importanti e si vede, come ho scritto, un grande coinvolgimento emotivo. Secondo lei uno scrittore deve calarsi completamente in quello che scrive o è necessario un certo distacco per poter riportare efficacemente ciò che desidera trasmettere?
Personalmente ritengo che siano importanti entrambi gli approcci: quello che fa la differenza ed è determinante, secondo me, è il tempo. Quando sento che sta per spuntarmi l’idea per una nuova storia, è come se piombassi in un’altra dimensione: in superficie vivo la mia vita reale, mentre con la mia immaginazione vivo la storia che scriverò. E quando sono in questa fase, divento un fascio di pura visionarietà ed emozione: sento tutto con la pancia, senza preoccuparmi di filtrare le mie sensazioni. Ma non scrivo neanche una riga. Soltanto in un secondo momento, quando cioè sento che ormai la storia mi è chiara e ho acquisito una sorta di consapevolezza, inizio a scrivere. E in quel momento sono più “calma”, perché conosco così a fondo quello che prima ho soltanto sentito, da riuscire a rimanere vigile.
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